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“Voglio morire”, studente bullizzato dai compagni: in 5 finiscono a processo

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Ragazzo bullizzato per 5 anni dai compagni di classe in chat crolla: "Voglio morire" - www.IlCorrieredellacittà.com

È rimasto in silenzio per 5 anni, vissuti coi compagni di scuola che lo insultavano e lo deridevano. Poi è crollato, raccontando ai genitori di voler morire per le offese ricevute. La confessione di un adolescente che durante il quinquennio è stato bullizzato da altri studenti: dovranno rispondere ora di atti persecutori.

C’è modo e modo di far gruppo tra gli adolescenti. Il modo che alcuni compagni di classe hanno riservato a un adolescente dell’istituto alberghiero Vincenzo Gioberti di Trastevere, a Roma, puntava sull’umiliazione e l’emarginazione sociale. A pagarne il prezzo un ragazzo che, sotto il peso degli insulti, è arrivato al punto di volerla fare finita. È la storia di uno studente bullizzato per 5 anni, martoriato da 5 coetanei: dovranno rispondere ora di fronte ai giudici di come sputi e insulti a suon di “Sei un aborto” aiutassero secondo loro a socializzare.

Studente bullizzato per anni dai compagni: “Sei un aborto”

Un inferno durato dal 2015 al 2019 quello del liceale protagonista di questa storia. Preso di mira dai compagni di classe, gli avrebbero lanciato insulti di ogni genere in chat, laddove non potevano essere visti: “Down, sei un ritardato” e ancora incitazioni come “Evitalo, non je risponde”, oppure “Fai schifo” e ancora “Puzza de dislessico ritardato down”. Una violenza verbale che per anni ha subito da 5 ragazzi che ora andranno a processo per atti persecutori.

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La situazione è arrivata all’attenzione dei genitori del ragazzo solo quando lui, provato, ha ammesso di voler morire. I responsabili, sentiti dal Tribunale dei minori, hanno sostenuto che il loro fosse un gioco, che tutti si trattavano nello stesso modo. Anche la preside dell’istituto ha tenuto a giustificare tali atteggiamenti, sostenendo che per un certo periodo i familiari del ragazzo leso avessero etichettato i gesti come inclusivi nei confronti del figlio.

Gesti che, nel momento in cui un adolescente pensa al suicidio, non hanno nulla a che vedere però con l’aggregazione sociale. Tantopiù se c’è l’ammissione stessa del ragazzo che, come riportato dal Corriere della sera, avrebbe ammesso: “Quei cinque mi perseguitano, non ce la faccio più”.

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