Non è un computer!
Prendere coscienza dell’emotività della testa è l’inizio di un nuovo rapporto con essa, una nuova comunicazione con noi stessi e con le nostre sensazioni. Non siamo esseri frammentati fatti di testa e corpo, ogni millimetro di noi raccoglie in sé tracce di memoria. Aprirle significa ascoltarci per arrivare al benessere in pienezza e totalità.
Quando diciamo “testa” la prima associazione che facciamo è “pensiero”. Un contenitore di processi razionali, dunque: priva di emozioni, una scatola fredda che elabora senza memoria corporea.
Non è cosi, per fortuna.
La testa è la parte del corpo che s’impregna di tracce di memoria già nell’utero; nel liquido amniotico il bimbo vive la sensazione di contenimento e protezione. Nel momento del parto è la testa che si fa spazio verso la vita, la prima ad avere il contatto con l’esterno, con l’apertura.
Dopo la nascita sarà la zona più protetta per la sua estrema delicatezza, la mamma l’accarezza e da subito il bimbo sente il sostegno protettivo.
Contenimento, protezione, forza e apertura, tutte tracce che andranno a svilupparsi nel corso della nostra vita.
Sommità della testa: forza e apertura
La sommità della testa indica la nostra crescita, mettere un segno alla parete per evidenziarne l’altezza è un gesto che noi tutti ricordiamo, cosi come stare in fila a scuola in ordine di altezza o alzarsi sulle punte per farla arrivare più in su, spinti dalla curiosità di vedere.
Spesso la mano dell’adulto, si poggia sulla testa del bambino in un gesto che è falsamente affettuoso, come a voler dire “stai al tuo posto, sei piccolo”, gesto che potrebbe creare insicurezza e chiusura.
Con il tempo andare a testa alta indica sfrontatezza e determinazione, al contrario, la testa bassa è sinonimo di chiusura e timidezza.
La fronte: contenimento e protezione
Quando il neonato è tenuto in braccio spesso vediamo il suo mettere la testolina sul collo del genitore, come a proteggerla nella ricerca continua di contatto. Un gesto che possiamo riscontrare da adulti, quando ci accoccoliamo accanto al partner, mettendola nella stessa posizione di quando eravamo piccolissimi.
La fronte è la zona che recepisce il sollievo quando viene rinfrescata o quando la mamma ci posa la sua mano in caso di febbre, la protezione è anche mettere la testa sotto le coperte, dopo un incubo spaventoso o proteggerla da un forte allarme. Quando la teniamo tra le mani per contenerci, per calmarci; rabbia e preoccupazione nella classica fronte corrucciata, ci mostra quanto sia emotiva la nostra testa.
Gli occhi: i radar dell’attenzione
L’attenzione è il nostro “radar” che attraverso un bip bip interno dirige gli occhi verso qualcosa o qualcuno. E sono proprio gli occhi i protagonisti assoluti, due finestrelle poco conosciute, spesso metaforicamente interpretate e associate all’anima.
Si trovano nella parte alta del corpo e dall’alto guardiamo noi stessi controllando ogni movimento. Attivi già dalla nascita, il neonato riconosce la fisionomia della mamma, i volti armoniosi e le tonalità dell’ambiente.
Attraverso gli occhi il bambino imita i grandi imparando le regole della vita, mostra la tenerezza, la paura, la rabbia, uno sguardo fermo e deciso trasmette determinazione: gli occhi parlano in senso metaforico.
Nel corso della crescita lo sguardo cambia, si modifica in conseguenza alle esperienze. L’ostinazione tende a socchiudere gli occhi aumentandone le rughette intorno; l’ansia invece li tiene spalancati in uno sguardo fisso.
L’allarme negli occhi
Gli occhi si muovono su un continuum che va dall’allentamento all’estrema attenzione, le esperienze possono bloccarne la dinamica fissandosi su un’unica modalità.
Cosa ci fa perdere questa naturale modalità tenendoci in allarme?
1) Ambiente allarmante
Un bambino che cresce in un ambiente familiare ansiogeno, atmosfera di continua paura ed allarme.
2) Rigidità dei genitori
Regole rigide, la paura di sbagliare, la paura di far arrabbiare la mamma o il papà.
3) Stress post-traumatico
Un evento traumatico altera le percezioni successive, tutto ciò che accade provoca ansia.
Sono tre situazioni diverse, tutte con il medesimo risultato: chiusura del campo visivo ai soli stimoli legati all’esperienza alterante.Esempio classico l’incidente d’auto, in seguito ad esso presteremo attenzione solo alla strada, mani sul volante, tensione muscolare. Nel campo visivo rientrerà solo la strada di fronte a noi.
Apriamo gli occhi!
Proviamo a chiudere gli occhi, respiriamo profondamente e riapriamoli. Ripetiamo questo gesto più e più volte, spostando lo sguardo e spaziando tutto il campo visivo. Soffermiamoci sui dettagli, sui colori. Piano piano, ci renderemo conto di quante cose ci circondano.
Ampliare il campo visivo ci permette di vedere oltre i limiti, di vedere altro nelle persone, di superare pregiudizi e pensieri stereotipati e in ultimo, raggiungere un benessere profondo.
Fonte: Il sorriso del corpo e i segreti dell’anima, Luciano Rispoli.
Se volete raccontarmi le vostre storie per sciogliere insieme qualche nodo disfunzionale, scrivete all’indirizzo: psicologia@ilcorrieredellacitta.it
Vi aspetto.
Dott.ssa Sabrina Rodogno