Nessun segno evidente di percosse, ma il corpo in avanzato stato di decomposizione non ha consentito un’analisi completa. Bisognerà attendere i risultati degli esami istologici per capire come è morto Stefano Dal Corso, il detenuto romano di 42 anni trovato privo di vita il 12 ottobre del 2022 in una cella del carcere di Massama, alle porte di Oristano.
Famiglia di Stefano Dal Corso: “Nostro figlio non si è suicidato, vogliamo la verità”
L’autopsia sul corpo di Stefano Dal Corso non scioglie i dubbi
Una morte archiviata come suicidio. Ma alla versione che Stefano si fosse impiccato la sorella Marisa, assistita dall’avvocata Armida Decina, non ha mai creduto. I magistrati sardi hanno così riaperto l’inchiesta, l’ipotesi di reato è ora quella di omicidio a carico di ignoti.
Venerdì 12 gennaio 2024 all’ospedale Gemelli di Roma il medico legale Roberto Demontis ha eseguito l’autopsia richiesta dalla Procura di Oristano e negata per sette volte all’avvocata Decina e alla famiglia. La salma non era in condizioni ottimali, per questo l’autopsia non può ancora sciogliere i dubbi sul decesso. Sono stati eseguiti i prelievi sulla cute per effettuare l’esame istologico. I risultati si avranno tra 90 giorni e solo allora si conosceranno le cause della morte.
Ancora tantissimi interrogativi
Tra due mesi, invece, arriveranno le relazioni dei consulenti nominati dalla famiglia: il medico legale Claudio Buccelli, l’ematologa forense Gelsomina Mansueto e l’esperto tossicologico Ciro Di Nuzio che hanno partecipato agli accertamenti necroscopici. Prima dell’autopsia, è stata eseguita anche una tac.
Il caso era stato riaperto a settembre dell’anno scorso grazie alle rivelazioni della moglie di un detenuto raccolte dalla sorella della vittima. La vera svolta però è arrivata nelle ultime settimane con una nuova rivelazione di un supertestimone, raccolte anche queste da Marisa Dal Corso e depositate in procura. Si tratta di un agente penitenziario secondo il quale Stefano è stato ucciso perchè aveva sorpreso accidentalmente due agenti durante un rapporto sessuale. Il detenuto sarebbe poi stato portato in una cella e ucciso a manganellate, quindi colpito con una spranga per provocare la rottura dell’osso del collo e simulare il suicidio per impiccagione.