Siamo la generazione dei social network e dell’assenza di limiti nella comunicazione. Siamo quelli che non si fanno mai scappare le ultime novità di questo campo e che vivono ogni nuovo modo di comunicare con grande entusiasmo, alle volte fin troppo. Esempi? A bizzeffe.
Era il 2008, se non erro, e con Facebook abbiamo iniziato a rendere i nostri “amici” partecipi di qualsiasi cosa stessimo facendo: dal “sto mangiando pane e panelle” a “vado al cinema a vedere…” riducendo al minimo la nostra privacy e addirittura arrivando a geotaggare noi – e alle volte pure il cane – mentre stiamo seduti sulla tazza del cesso.
Qualche anno fa spunta Instagram, applicazione installabile su smartphone, esclusivamente dedicata alla fotografia. Inizialmente l’abbiamo ignorata per poi recuperare il tempo perso iniziando a fotografare e condividere tutto, ma proprio tutto; dagli aperitivi, alle mutande nuove – purché colorate e belline – passando per i gerani nel balcone di casa di nonna, arrivando ai poveri gatti domestici, sorpresi a dormire, giocare, anche a fare i bisognini. Una roba da denuncia al WWF.
Whatsapp ha sostituito i classici messaggini di testo; una chat all’interno del telefonino, tutti gli amici a portata di mano, e in seguito anche i messaggi vocali; raramente componiamo un numero per telefonare, più frequentemente siamo capaci di inviare messaggi vocali lunghi più di 4 minuti. Robe che ogni volta che mi capita di riceverli o di inviarli, nel primo caso scapperei in Guatemala pur di non ascoltarli e nel secondo mi sento una cretina senza speranza perché realizzo che anziché parlare da sola per tutto quel tempo, sarebbe stato meglio aspettare il momento opportuno e magari alzare il telefono.
Guardarci negli occhi? Sempre più raro. Discutere faccia a faccia, altrettanto difficile. Abbiamo decine di contatti sui nostri social, ma pochissimi amici veri che sanno ascoltarci. Parliamo tutti i giorni con decine di persone, ma spesso sono poche quelle al di fuori delle reti sociali. Io più vado avanti e mi guardo intorno, più mi rendo conto che questa nuova comunicazione anziché avvicinarci ci allontana e potrà anche sembrarvi banale, ma tornare indietro – anche in questo – non sarebbe poi così male. Guardo con nostalgia i tempi in cui era più facile far due chiacchiere davanti ad un caffè in un bar, anziché tramite sms, quando la telefonata all’amico/a era il rito di fine giornata fatto di botta e risposta e non solo di monologhi scritti o parlati. Era meraviglioso quando avevamo il coraggio di dirci tutto guardandoci in faccia, senza bisogno di scrivere status al veleno su Facebook sperando che il destinatario percepisca e risponda, ovviamente utilizzando lo stesso metodo e dando vita ad una battaglia a suon di like. Fatemelo dire, che tristezza!
La verità è, come spesso mi ritrovo a dire, che si stava meglio quando si stava peggio o meglio, si stava meglio quando si “digitava” di meno e si parlava di più. Oggi siamo bravissimi con i social, super attivi con gli smartphone, capacissimi con le applicazioni, smanettoni di prima categoria con ogni telefonino, comunichiamo in decine di modi diversi, ma la realtà è che, nel frattempo, ci stiamo dimenticando di come lo si fa realmente.
Alessandra Crinzi
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