La Tuscia sarebbe un luogo idoneo per raccogliere scorie nucleari. A stabilirlo la Sogin tramite la Carta Nazionale delle Aree Idonee (Cnai) pubblicata dal ministero dell’Ambiente e Sicurezza Energetica mercoledì 13 dicembre. I Comuni del viterbese, residenti ed enti di categoria promettono però di muovere battaglia.
Sono 51 i siti riconosciuti in Italia come idonei per raccogliere scorie nucleari. Di questi, 21 sono nel Lazio e tutti sono nella Tuscia. Una notizia che mette sul piede di guerra tutti i sindaci dei Comuni dell’area a Nord di Roma e i rispettivi cittadini. Entrambi promettono di incrociare le braccia e muovere barricate per tutelare la vivibilità locale, preoccupati dalle conseguenze di questa scelta.
La Tuscia tra le aree idonee al deposito di scorie nucleari
A decretare che l’area della Tuscia sia congeniale per lo stocaggio delle scorie nucleari sarebbe la Carta Nazionale delle Aree Idonee (Cnai), pubblicata dal ministero dell’Ambiente e Sicurezza Energetica lo scorso 13 dicembre. Il documento, elaborato da Isin e Sogin, la società statale incaricata di individuare le aree di pertinenza, individua le aree più idonee per realizzare in Italia un deposito nazionale di rifiuti radioattivi e il Parco Tecnologico. I comuni del viterbese che ricadono in questa selezione sono Montalto di Castro, Canino, Cellere, Ischia di Castro, Soriano nel Cimino, Vasanello, Vignanello, Corchiano, Gallese, Tarquinia, Tuscania, Arlena di Castro, Piansano, Tessennano.
Anche se la Cnai identifica delle aree congeniali per ospitare scorie nucleari, il ministero dell’Ambiente, su iniziativa del governo Meloni e tramite il decreto legge Energia, permette ad altri comuni di candidarsi entro 30 giorni. Sarà Sogin a dover valutare eventuali passi avanti da parte di nuovi Comuni.
Scorie nucleari nella Tuscia. Coldiretti: “Scelta dannosa per l’agricoltura”
Le prime ricadute per il territorio della Tuscia sono state ipotizzate da Coldiretti, tra le maggiori associazioni di rappresentanza della filiera agricola italiana. “Non è possibile pensare di dislocare 21 aree delle 51 individuate a livello nazionale, tutte in un’unica regione e addirittura in un’unica”, è intervenuta l’attuale presidente di Coldiretti Lazio, David Granieri, secondo cui si tratterebbe di “Una scelta dannosa per l’agricoltura, a essere compromessa è la forte vocazione non solo agricola e agroalimentare, ma anche turistica di un territorio”. Per questo motivo, nelle scorse settimane Coldiretti Lazio ha scritto alla Regione Lazio per chiedere un confronto urgente volto ad avviare interventi immediati.
Un altro aspetto, meramente culturale, è quello sollevato per esempio da Gabriella Caramanica, Segretario Nazionale del Partito Rivoluzione Ecologista Animalista – Rea. “Nella scelta delle aree che si possono candidare non si è tenuto conto del valore storico, paesaggistico, naturalistico e della presenza demografica“, spiega, “Un’area di 150 ettari di deposito con un parco tecnologico, in contesti naturalistici di inestimabile bellezza o in prossimità del mare e di luoghi abitati, con pericolo per i cittadini. Ospitare i rifiuti a bassa e media attività potrebbe essere un’opportunità economica. Sarebbe pertanto necessario rivedere il piano a livello europeo, come espresso anche da alcune associazioni”.
Le proteste dei Comuni: “Non saremo mai un deposito”
Le osservazioni del Rea sono condivise anche dai Comuni coinvolti dallo studio della Sogin, come Tarquinia e Montalto di Castro. Secondo Alessandro Giulivi, sindaco di Tarquinia, il ministero non avrebbe considerato che l’area della Tuscia sia una zona con una forte vocazione turistica e agricola, che verrebbe penalizzata nel caso in cui fosse impiegata per il deposito di scorie nucleari.
Il sindaco di Tarquinia ha sottolineato inoltre il fatto come i Comuni figurino come zone protette dall’Unesco per la presenza di un vasto patrimonio archeologico. “C’è un regolamento comunale che vieta le scorie”, sostengono i sindaci, promettendo di difendere i territori di loro competenza fino allo stremo.