L’uomo, dopo essere stato in carcere, è in attesa di essere espulso e perseguita da mesi la vittima.
È stato condannato per stalking e violenza, ma anche se ha scontato la pena, S.S. non ha mai smesso di perseguitare una ristoratrice romana, per cui prima lavorava come dipendente.
Le giornate di C.S., vittima di questo tormento, sono scandite dal timore che lui, che dal 2021 le indirizza dediche sanguinolente, chiamate e minacce, possa davvero farle del male. “Vivo barricata in casa”, ha raccontato a Repubblica, “Mi ucciderà”. È trascorso quasi un anno da quando il suon stalker è uscito dal Cpa da cui le prometteva di ucciderla: oggi S.S. è ancora libero e gode, altresì, di protezione internazionale.
“Voleva sposarmi, mi inviava dediche col suo sangue”
Tutto ha avuto inizio quando i rapporti sul lavoro tra C.S., proprietaria di un bistrot, e S.S. si sono incrinati. S.S. lavorava come dipendente per la donna, aiutandola anche nei trasbordi della merce dall’appartamento al locale, a poca distanza. La proprietaria si affidava a lui per ragioni lavorative, ma presto l’atteggiamento di S.S., dedito all’alcol, è cambiato ed è diventato aggressivo. Il socio di C.S. decise, perciò, che non era il caso di tenerlo nel bistrot e lo licenziò, una scelta che S.S. non ha accettato di buon cuore, cercando una mediazione coi suoi datori.
Quel compromesso non è arrivato, a fare capolino sono invece i sentimenti malati dell’uomo, un 36enne di origini indiane. Come ha raccontato C.S. a Repubblica, S.S. innamorato ha iniziato a perseguitarla. “L’ho rifiutato ma non è bastato”, ha raccontato la donna, “Ha dipinto il muro di casa mia con il suo sangue, incidendo il suo soprannome, il mio nome circondati da cuori. Lo stesso messaggio mi è arrivato con bigliettini lasciati accanto alla porta di casa mia”. Poi, sarebbero arrivate le chiamate assillanti, e le minacce che angosciano ancora oggi la vittima di stalking.
La vita di C.C. appesa a un filo
Non si tratta di allarmismi ingiustificati, ma di una minaccia concreta di femminicidio. L’uomo nel 2021 aveva già provato a stuprare C.C., l’ha minacciata più volte di morte telefonicamente e ha imbrattato il muro di casa sua col sangue. Dopo essere stato detenuto nel carcere di Rebibbia per 18 mesi con l’accusa di violenza sessuale e stalking, S.S. è finito nel Cpa, Centro di prima accoglienza, dove la sua furia comunque non si è placata. Tant’è che ha continuato a perseguitare C. anche da lì, chiamandola al cellulare e minacciandola di “tagliarle la testa” non appena uscito. Una promessa letale con cui C. convive dal 12 luglio scorso, quando S.S. è uscito dal Cpa: da allora è a piede libero per Roma.
Sarebbe dovuto essere espulso dal Paese, invece S. si è appellato alla protezione internazionale, che difatto in questo modo congela la sua espulsione. Mentre il giudice deve emettere il verdetto definitivo a liberarlo, l’uomo intanto è ancora in giro per la città, mentre C. teme che possa tornare ancora una volta nella sua vita e farle del male.