Le slot machine presenti all’interno del suo bar in via Carlo Lorenzini, zona Talenti, erano completamente truccate per poter incassare di più. Ora, dopo la scoperta, la titolare W.Z., di 33 anni, origini cinesi, è finita direttamente a processo per una truffa da frode informatica insieme ai due tecnici con i quali aveva imbastito il suo piano (erano i rappresentanti della ditta stessa che forniva le slot machine). In sostanza, la smart card che si trovava all’interno della macchina per le giocate veniva modificata per tarare diversamente l’incasso delle vincite, di fatto abbassandole, e quindi guadagnare il più possibile dalle puntate che facevano i giocatori. Nel corso del tempo, i 3 complici, sfruttando anche la dipendenza dei giocatori che solevano fare le loro puntate all’interno del bar, avrebbero incassato, fino al gennaio 2020, un bottino di 8mila e 747 euro, come riportato anche da il Messaggero.
Il gioco responsabile ed il rischio di ludopatia
Come funzionava la truffa del bar di Roma
I clienti ”affezionati” entravano nel bar per consumare il loro caffè, a qualsiasi ora, come di solito accade. Poi, dopo aver fatto tutto la bancone, venivano attirati dal brivido del gioco d’azzardo, e si dirigevano verso le slot machine. Le macchine erano lì, scintillanti, pronte a generare i loro sogni di gloria e di vincite. I giocatori, ignari di tutto, venivano truffati dalla titolare del bar che voleva in questo modo arrotondare il proprio stipendio. La titolare conosceva bene le dinamiche della dipendenza dei suoi clienti, e proprio da questa avrebbe voluto trarre il massimo profitto. Le slot machine noleggiate da una ditta della Capitale, così, erano state truccate con l’aiuto e la complicità di due tecnici e rappresentanti della ditta stessa. Una truffa che è andata avanti fino al 27 gennaio del 2020: in quel giorno, un controllo di routine eseguito dalle forze dell’ordine i giochi sono stati controllati e la truffa è stata smascherata. L’interno importo, addirittura, era stato ritrovato all’interno del bar. I tre, infine, sono finiti a processo con l’accusa di frode informatica.
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