Roma è una Città Eterna e al contempo mai uguale a se stessa, è quindi molto difficile stilare una lista delle cose imperdibili della Capitale, perché non si finisce mai di scoprirla. Certo, se preferite un tour tradizionale, vi potremmo suggerire il Colosseo, la scalinata di Trinità dei Monti, il Pantheon o Fontana di Trevi, ma ci sono dei luoghi a Roma che sono altrettanto speciali e che potete visitare senza il rischio di essere sommersi dai turisti e senza essere costretti a sorbire delle lunghe code.
La zuppiera di Corso Vittorio
Voluta dal pontefice Gregorio XII, la “zuppiera” o “terrina” di Corso Vittorio porta la firma dell’architetto e scultore Giacomo Della Porta. Oggi si trova davanti alla Chiesa Nuova, in corso Vittorio Emanuele II, non distante da Piazza Navona, ma la sua storia comincia al centro di Piazza Campo de’ Fiori, dove era stata originariamente collocata nel 1595.
La fontana, a forma ovale, era decorata con quattro delfini in bronzo posti sui bordi della vasca, dalle cui bocche sgorgava l’acqua dell’acquedotto Vergine. I delfini erano stati inizialmente destinati alla Fontana delle Tartarughe, ma non furono mai utilizzati. Già allora, nella piazza si svolgeva un affollato e pittoresco mercato, e la fontana si trasformò ben presto in una sorta di vasca all’aperto in cui tenere al fresco e lavare frutta e verdura.
A poco servirono gli editti papali, che prevedevano addirittura per i trasgressori recidivi pene corporali. Nel 1622 l’amministrazione cittadina impose un grosso coperchio di travertino, realizzato da un artista ignoto. Il grosso coperchio ispirò, inevitabilmente, l’ironia dei romani che ribattezzarono la fontana “Pasticcio” e poi “Terrina”, per la sua somiglianza con una grande zuppiera.
Anamorfosi del Convento di Trinità dei Monti
A Trinità dei Monti si trova un convento sede della comunità del Sacro Cuore e della Fraternità Monastica di Gerusalemme edificato tra il 1530 e il 1570 dal re di Francia Carlo VIII per i Minimi, ordine religioso fondato da Francesco da Paola (1416-1507). Al primo piano del convento, tra i corridoi est e ovest, ci sono due lodevoli esempi di anamorfismo. Si tratta di dipinti murali ideati ed eseguiti dai padri minimi Emmanuel Maignan e Jean François Nicéron nel XVII secolo riportati alla luce dai recenti restauri del 2009.
L’anamorfismo (dal greco anamórphosis “ricostruzione della forma”) è un effetto ottico basato sulla visione prospettica che rende visibili le immagini se guardate da un punto di vista inclinato mentre appaiono distorte se guardate frontalmente. Tra i due capolavori del convento di Trinità dei Monti, il dipinto anamorfico che ha conservato la migliore leggibilità è quello realizzato nel 1642 da Emmanuel Maignan e si trova sul versante ovest.
Entrando nel corridoio ci si trova davanti all’opera che si estende per circa sei metri in posizione trasversale alla parete. Da questa angolazione si può scorgere il grande San Francesco da Paola in preghiera, incorniciato dai rami di un albero di ulivo. Ma se proseguiamo, una volta giunti al centro dell’affresco, se lo si osserva da un punto di vista perpendicolare alla parete – ossia la comune visione di un’opera d’arte – come per magia l’immagine di San Francesco si è trasformata in un paesaggio costiero.
La Porta magica di Piazza Vittorio
Nel cuore dei giardini di piazza Vittorio si trova una Porta Magica, edificata nella seconda metà del Seicento, antica testimonianza di una Roma di miti e misteri. L’enigmatica porta, però, non conduce in alcun posto, ed è ciò che rimane della lussuosa Villa Palombara, residenza del marchese Massimiliano Savelli Palombara.
Uomo brillante e raffinato letterato, l’aristocratico era appassionato di alchimia ed esoterismo, interesse che condivideva con Cristina di Svezia, della quale fu devoto amico e fedelissimo di corte, durante il soggiorno romano dell’ex sovrana. La leggenda narra che, in una notte tempestosa del 1680, un viaggiatore, probabilmente il medico alchimista Francesco Borri, ospitato nella villa, si recò in giardino alla ricerca di un’erba in grado di produrre oro. Il mattino seguente, l’uomo era misteriosamente scomparso, lasciando dietro di sé tracce di oro purissimo e degli oscuri manoscritti con numerosi simboli e formule alchemiche.
Convinto che il misterioso scritto contenesse il segreto della pietra filosofale, il marchese fece incidere la “ricetta” magica sulla “Porta Alchemica”, nota anche come “Porta dei cieli” e “Porta ermetica”: simboli planetari, ognuno associato a un metallo, piramidi, cerchi, iscrizioni in latino ed ebraico e una stella a sei punte, il sigillo di Salomone.
La Casina delle Civette a Villa Torlonia
La Casina delle Civette è il risultato di una serie di trasformazioni e aggiunte apportate all’ottocentesca Capanna Svizzera, luogo di evasione del principe, collocata ai bordi del parco di Villa Torlonia e nascosta da una collinetta artificiale.
Realizzata dall’architetto paesaggista Giuseppe Jappelli nel 1840, su commissione del principe Alessandro Torlonia, l’originaria Capanna Svizzera si presentava simile a un rifugio alpino, con paramenti esterni a bugne di tufo e interno dipinto a tempera a imitazione di rocce e tavolati di legno. È a partire dal 1916 che l’edificio assume il nome di “Villino delle Civette”: già dal 1914, due civette stilizzate fra tralci d’edera sono rappresentate nella vetrata eseguita da Duilio Cambellotti, e il tema del rapace notturno ricorre costantemente, quasi ossessivamente nelle decorazioni e nel mobilio, per volere del principe Giovanni, uomo scontroso e amante dei simboli esoterici.
Nel 1917, l’architetto Vincenzo Fasolo aggiunge le strutture del fronte meridionale della Casina, arricchendola con fantasiose decorazioni architettoniche in stile Liberty, come le tegole smaltate con colori vivaci o il porticato a volta nella parte Sud dell’edificio. Insieme a questa stravagante architettura, il Principe Giovani jr Torlonia fa aggiungere ferri battuti, maioliche, stucchi e, alle finestre, le celebri vetrate con decorazioni naturalistiche e faunistiche, come uccelli, farfalle e, naturalmente, civette
Il quartiere Coppedé
Nel cuore di Roma, a due passi dal centro storico si trova uno dei quartieri più caratteristici della città. In realtà non un vero quartiere, ma un angolo di Roma dalle fattezze inaspettate e bizzarre, un fantastico miscuglio di arte Liberty, Art Decò, con infiltrazioni di arte greca, gotica, barocca e addirittura medievale.
Parliamo del quartiere Coppedè, un complesso di 26 palazzine e 17 villini che sorge tra la Salaria e la Nomentana. Un “arcone” riccamente decorato che congiunge i due palazzi degli ambasciatori, dal quale scende un grande lampadario in ferro battuto, definisce l’ingresso del quartiere progettato e realizzato, tra il 1915 e il 1927, dall’eclettico architetto Gino Coppedè, da cui prende il nome.
L’insieme dei fabbricati, l’incredibile “pastiche” di linguaggi architettonici, che immergono il visitatore nella atmosfera sfarzosa, e anche un poco fittizia, degli inizi Novecento si articola intorno a piazza Mincio, dove lo spazio centrale è occupato dalla Fontana delle Rane, un’imponente fontana popolata appunto da 12 rane.
La dimensione quasi fantastica di questo luogo suggestivo di Roma ha ispirato più di una pellicola: il quartiere Coppedè ha decisamente ammaliato il regista horror Dario Argento che lo ha utilizzato come location di due tra i suoi più famosi lungometraggi: “Inferno” e “L’uccello dalle piume di cristallo”, ma anche scene di altri film sono state girate qui come “Il profumo della signora in nero” di Francesco Barilli, “Ultimo tango a Zagarolo”di Nando Cicero e “Audace colpo dei soliti ignoti” di Nanni Loy con Vittorio Gassman.
Il Cimitero Acattolico
Il cimitero acattolico di Testaccio è un luogo romantico, dove arte, bellezza e natura intessono una trama ricca di suggestioni e di richiami al passato: qui infatti sono sepolti poeti, scrittori, artisti, musicisti e politici non cattolici dal ‘700 fino ai nostri giorni tra cui quelle dei poeti inglesi Percy Bysshe Shelley, John Keats, lo storico Antonio Gramsci, gli scrittori Carlo Emilio Gadda, Miriam Mafai e Luce d’Eramo, l’attore Arnoldo Foà e il poeta Dario Bellezza.
Conosciuto a Roma con il nome di Cimitero Protestante o come Cimitero degli Inglesi, o anche Cimitero degli Artisti e dei Poeti, è uno dei luoghi di sepoltura tutt’ora in uso più antichi in Europa. Si trova in prossimità della Piramide di Gaio Cestio e delle monumentali Mura Aureliane. Viene utilizzato a partire dal 1716 circa: a questa data risale infatti il permesso concesso da Papa Clemente XI, per membri della Corte Stuart in esilio dall’Inghilterra, ad essere sepolti di fronte alla Piramide. Nel 1918 viene dichiarato Zona Monumentale d’Interesse Nazionale.
Negli anni il numero delle persone sepolte aumenta fino ad arrivare a quasi 4000: per lo più inglesi e tedeschi, ma anche americani, scandinavi, russi, greci e qualche orientale, di tutte le confessioni religiose dall’Islam, allo Zoroastrismo, dal Buddismo al Confucianesimo.
Passeggiata del Gelsomino
Avete mai sentito parlare della passeggiata del gelsomino a Roma? Questa romantica camminata, insieme a quella del Gianicolo, è tra le più suggestive e rilassanti da fare nella Città Eterna. Siete curiosi di saperne di più?
L’inizio del percorso pedonale noto come passeggiata del gelsomino è la cosiddetta Stazione San Pietro. Nel 1929 fu realizzata questa ferrovia per collegare lo Stato Pontificio e Roma. Questa linea ferroviaria, la più corta d’Italia e del mondo, era usata per il trasporto eccezionale di merci dentro e fuori lo Stato Pontificio, nonché per gli spostamenti del Papa e dell’alto clero.
Nel corso dei decenni la Stazione di San Pietro è stata abbandonata perché inutilizzata. Nel 2000 in occasione del Giubileo uno dei due binari è stato tolto completamente ed è stata creata così la passeggiata del gelsomino. Quindi per trovare il punto di partenza basta solo arrivare al binario 1, svoltare a destra e poi proseguire sempre diritto.