Si può essere costretti a restare in una casa di cura anche se si è guariti, rischiando oltretutto di ammalarsi di Covid alla veneranda età di 97 anni? Ebbene sì. L’assurda vicenda succede a Roma, in una struttura privata, Villa Maria Immacolata, ricadente nella Asl Roma 3. La donna, la signora Emanuela, viene ricoverata nella Casa di cura ad agosto, dopo una degenza all’ospedale San Camillo, dove ha effettuato un intervento a seguito di una frattura cervicale. Qui deve fare riabilitazione prima di tornare a casa. Le dimissioni vengono fissate per il 25 settembre.
Ma il giorno prima, il 24, l’amministrazione della Casa di cura contatta i familiari della donna per informarli che le dimissioni – così come tutti i ricoveri – sono bloccate e che la signora non può tornare a casa e non può ricevere visite. Nella struttura è infatti esploso un focolaio che ha reso la struttura “cluster Covid”.
“Ci hanno detto che nostra nonna era l’unica negativa del secondo piano – raccontano i nipoti – e che per tutelare la sua salute era stata posta in isolamento. Abbiamo accettato questa spiegazione in attesa del risultato del secondo tampone, a seguito del quale avremmo dovuto poter portare a casa la nonna”. La Asl aveva infatti ordinato l’esecuzione dei test per tutto il personale e per i pazienti: la 97enne al primo era risultata negativa, ma ora occorreva attendere il risultato del secondo. Ma così non è stato. I giorni passano, eppure nonostante le chiamate ai parenti arrivano sempre risposte discordanti. L’unico punto su cui sono tutti d’accordo è uno: la signora da quella clinica non esce. I parenti iniziano ad agitarsi e l’8 ottobre il nipote si rivolge alla Asl Roma 3 con una mail in cui illustra il problema. La paura è che la signora, restando lì, possa contrarre il virus, cosa che per una donna di 97 anni sarebbe un problema gravissimo. Ecco il testo della missiva:
L’intervento della Asl Roma 3
Ma nessuno risponde. Ci interessiamo alla vicenda e finalmente qualcosa si muove. L’11 ottobre il Commissario Straordinario della Asl Roma 3 esamina il caso e il giorno dopo la Asl invia una mail al nipote della signora Emanuela, anticipando le dimissioni per l’indomani. “Riguardo alle eventuali dimissioni, abbiamo dato disposizione alla struttura di autorizzarle a condizione che il medico che avesse in carico l’ospite richiedente si esprimesse favorevolmente, ovviamente nell’interesse del paziente stesso e dei suoi bisogni assistenziali. Altra condizione è il proseguo delle misure dell’isolamento, nel caso in cui la dimissione avvenisse prima della fine dell’isolamento. Stamattina, avuta conoscenza del vostro desiderio di far uscire la signora dalla struttura, abbiamo parlato con il direttore della clinica autorizzandone le dimissioni. Domattina, prima di formalizzarle, definiremo meglio la necessità di dare istruzioni per proseguo delle misure di isolamento a domicilio”.
Ma l’indomani, quando i familiari provano a chiedere a che ora possono andare a prendere la nonnina, la risposta è che per dimetterla devono firmare uno scarico di responsabilità, cosa che i parenti non vogliono fare. “Nostra nonna, secondo quanto ci è sempre stato detto, è risultata negativa ai test effettuati, almeno questo per quanto riguarda i primi due test. Ora sembra gliene abbiano fatti altri due: per quale motivo, visto che è in isolamento? Come potrebbe aver contratto il virus, se – come si spera – hanno seguito tutte le procedure cautelative necessarie affinché questo non avvenga e non ci sono state inadempienze da parte di qualcuno? Se il 25 settembre nonna era negativa, così come nei giorni successivi, come potrebbe non esserlo adesso? E poi: da allora sono comunque passati i 14 giorni necessari per la quarantena, perché dovrebbe proseguire l’isolamento a casa, se lo ha già fatto in clinica? Il nuovo DPCM ora prevede 10 giorni di isolamento, quindi, anche se volessero calcolare i tempi all’ultimo ulteriore tampone – visto che sembra che le abbiano fatto, e non si capisce il motivo, altri due test, tra cui anche quello molecolare e quello a bassa carica virale – ormai ci siamo, sono passati anche quelli. Fate uscire nostra nonna senza più altre restrizioni di sorta”.
Abbiamo quindi sentito i responsabili della clinica. “Il cluster Covid implica la chiusura dell’attività dell’azienda, tranne che per l’assistenza erogata alle persone presenti – ha spiegato telefonicamente la responsabile della Casa di Cura – non si possono quindi accettare nuovi pazienti, mentre le dimissioni possono essere fatte solo sotto sorveglianza sanitaria dell’ufficio di igiene”.
Ma ai parenti della donna è stato detto che non poteva uscire fino a quando non arrivavano i risultati dei test: possibile che ci vogliano 20 giorni per averli? Eppure già dopo due giorni avevate comunicato la sua negatività, tanto che la signora era stata messa in isolamento, in quanto unica negativa del piano.
“I risultati li danno a voce quando ci sono delle problematiche interne, non so se si è resa conto che abbiamo una pandemia e che i risultati di questi tamponi superano i 7 giorni. Sono stati fatti tamponi di diverse tipologie, perché non so se ha presente che esiste il tampone molecolare, istantaneo, quello che fa il conteggio della carica virale, tutte cose che sono state implementate nelle ultime 3 settimane…”.
Ma questo non c’entra nulla con la questione specifica: quando è stato fatto l’ultimo tampone alla signora? I 7, ma anche 14, giorni dalla data delle sue dimissioni iniziali e quindi dal primo (ma anche del secondo) tampone sono passati da un bel pezzo.
“Essendo oberate le UOC SISP del territorio hanno dei rallentamenti su tutto il territorio nazionale, non so se ha presente anche questo…”.
Facciamo presente alla responsabile della clinica che non siamo così ingenui, ma che 20 giorni per il risultato di un tampone ci sembrano oggettivamente troppi, emergenza e sovraccarichi di lavoro o meno. È possibile sapere quando sono stati fatti i tamponi alla signora e perché sono stati – qualora lo fossero stati – ripetuti, visto che per due volte erano risultati negativi, almeno secondo quanto riferito ai parenti?
“Di certo non posso riferire a lei quando sono stati fatti i tamponi. Queste sono informazioni che abbiamo dato ai parenti”.
Veramente loro si sono rivolti a noi perché non hanno ricevuto risposte abbastanza chiare.
“Se da noi chiama prima un parente e poi un altro e non comunicano tra loro noi non possiamo farci nulla. Noi abbiamo un caregiver a cui si possono dare informazioni, con gli altri non possiamo parlare”.
Ma a quanto sappiamo noi, il caregiver non ha queste informazioni.
“Io non posso farci nulla. La signora ha chiesto a tutto il mondo, ha chiamato anche il Sisp. Siamo in collegamento con la Asl per le dimissioni, che si chiamano ‘dimissioni protette’. Se loro vogliono portare a casa la paziente devono firmare lo scarico di responsabilità, altrimenti io seguo l’iter che mi è stato dato dal Sisp”.
“Ad oggi, 16 ottobre – concludono i nipoti di Emanuela – nostra nonna è ancora in clinica e, a quanto sappiamo noi dalle notizie che la stessa casa di cura ci ha dato verbalmente, i test effettuati inizialmente sono risultati negativi. Non sappiamo perché, dopo i primi due, ne siano stati fatti altri due, di cui ancora non ci hanno comunicato l’esito malgrado siano passati più di 10 giorni. Eppure nostra nonna è in isolamento, quindi ripetiamo: come potrebbe contrarre il virus? La quarantena l’ha già fatta e terminata in clinica, pertanto pretendiamo che le dimissioni siano regolari e non con uno scarico di responsabilità sui parenti: questa ci sembra una classica storia ‘all’italiana’, dove non ci si vuole assumere le proprie responsabilità”.
Quello che si vuole sapere, in fondo, è lecito: la Asl, nella sua mail datata 12 ottobre, scrive “Altra condizione è il proseguo delle misure dell’isolamento, nel caso in cui la dimissione avvenisse prima della fine dell’isolamento”. Ma questo isolamento quanto deve durare, visto che la signora è stata posta in quarantena sin dal 24 settembre? Perché non si dice chiaramente ai parenti quando sono stati i tamponi, perché si continuano a farne altri (visto che i primi sono risultati negativi) e cosa si sta aspettando ancora? Se si aspetta che tutti gli ospiti della Casa di Cura guariscano, la donna potrebbe uscire tra mesi, “ostaggio” di malattie (altrui) e burocrazia. Sempre che nel frattempo non si ammali lei. E allora, se questo dovesse accadere, di chi sarebbe la responsabilità?