Baci sul collo, battutine e avances non richieste. Il posto di lavoro per una segretaria di Roma è stato per mesi un vero e proprio inferno, condito dalle molestie del suo datore. La donna, dopo essere stata infastidita più volte dal capo dell’autosalone presso cui lavorava, è stata costretta e interrompere il rapporto di lavoro, pur di limitare quelle attenzioni sgradevoli e non richieste. A distanza di mesi, però, ha deciso che il torto subito dall’uomo non poteva essere ignorato, rivelando prima i suoi atteggiamenti con una lunga lettera, poi denunciando gli abusi.
Lascia il lavoro per le molestie e denuncia il suo capo
I fatti risalgono al 2018, quando la donna lavorò alcuni mesi come segretaria presso un autosalone di Roma. Da marzo 2018 fu sottoposta a continue molestie da parte del suo datore di lavoro, tra cui baci sul collo e palpeggiamenti.
Secondo quanto è emerso dalle indagini, l’uomo avrebbe costretto la dipendente a baciarlo e, in un’occasione, le avrebbe toccato anche il sedere con una mano. Fu proprio quest’ultimo abuso a convincere la segretaria a licenziarsi a settembre 2018, condividendo una lunga lettera in cui spiegava le ragioni del suo allontanamento e le continue molestie a cui l’uomo la sottoponeva sul lavoro. Vedendo la sua immagine lesa, il capo ha però risposto con una querela per diffamazione, costringendo la sua ex dipendente a procedere per vie legali.
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Segretaria denuncia molestie e calunnia del suo ex datore di lavoro
Il tentativo di mettere a tacere la donna, però, si è rivelato un boomerang. A distanza di quattro anni dai fatti, la prima sezione del Tribunale di Roma ha condannato il proprietario dell’autosalone, riconoscendone la colpevolezza.
Infatti, quando nel 2018 la vittima di abusi è stata accusata dal suo ex responsabile di diffamazione, ha deciso di procedere denunciando prima le molestie sessuali subite sul lavoro, poi accusandolo di calunnia. Una scelta che ha trovato esito positivo: il giudice di pace, chiamato a decidere sulla diffamazione, ha dato ragione alla donna a distanza di anni, archiviando l’accusa e inviando gli atti in Procura.
Per l’ex datore di lavoro, invece, la condanna è a due anni di reclusione, ritenendolo responsabile di violenza sessuale aggravata e calunnia. Tra le aggravanti, anche il fatto di aver commesso i fatti abusando del proprio ruolo nei confronti della donna, in quanto suo superiore sul lavoro.