Una paziente che scompare, uno scambio di salme. Ma, prima ancora, una persona che entra in ospedale a causa di un ictus e che muore in circostanze misteriose per Coronovirus. E’ una vicenda sulla quale dovrà fare luce la Procura e a occuparsene sarà il pubblico ministero Pietro Pollidori. L’ospedale teatro di questa assurda vicenda è il Sant’Andrea di Roma e adesso c’è da capire quali siano le responsabilità della struttura rispetto a quanto denunciato dalla famiglia della donna e ricostruito dagli avvocati Romolo e Massimo Reboa dell’omonimo studio legale.
La storia
Lei è Giuseppina Di Somma, un’anziana che, a causa di strascichi di un ictus e di una polmonite, il 14 marzo – quindi nei primi giorni in cui il Covid iniziava a farsi sentire in Italia – viene ricoverata al Sant’Andrea, al reparto medicina d’urgenza. Dai controlli effettuati al suo arrivo in ospedale, è negativa al virus. La donna tutto sommato è in condizioni di salute abbastanza buone e nulla fa presagire il tragico epilogo che ci sarà pochi giorni dopo. Il 28 marzo la donna viene trasferita in un altro reparto: anche quel giorno la donna sembra stare abbastanza bene e i figli sono fiduciosi nel riaverla presto a casa. Ma i familiari non riesco a scoprire in quale reparto venga trasferita la propria madre: l’ospedale in quei giorni è in pieno caos, peggio di un labirinto e la donna non si trova da nessuna parte. Il trasferimento pare dovuto al fatto che nel reparto Medicina d’urgenza fosse arrivato il virus Covid-19.
Il 28 marzo è quindi l’ultima volta che i familiari, tra cui c’è una figlia poliziotta, riescono a vedere l’anziana paziente. I figli si rivolgono addirittura alla trasmissione “Chi l’ha visto” per avere notizie di Giuseppina. Lì conoscono i familiari di un’altra donna, la signora Agnese, anche lei scomparsa nei dedali dell’ospedale. I destini delle due si incroceranno di lì a breve anche se ancora le famiglie non lo sanno.
Documenti “mischiati”
Dal 29 marzo al 6 aprile c’è una sorta di “buco temporale” in cui nessun familiare riesce ad avere notizie della donna e della sua salute, neanche al telefono, nonostante le mille chiamate a tutti i reparti e agli uffici. La figlia agente di polizia chiama prima l’Urp e poi la direzione sanitaria e le dicono che sua mamma non risulta ricoverata in quell’ospedale. Solo dopo mille insistenze riesce a sapere che è ricoverata nel reparto Covid. Ma quando e come è stata contagiata?
Poi tra il 6 e il 7 aprile la Giuseppina muore. Di Covid? Non si sa, visto che viene fatto il tampone, ma i risultati non vengono mai comunicati alla famiglia. Ma questo non è l’unico punto oscuro. Non si sa neanche quando muore esattamente. “La figlia – spiegano i legali – ha ricevuto la chiamata che le comunicava la morte della signora da parte del medico di turno il 6 aprile, poco prima di mezzanotte. Ma nella cartella clinica il decesso risulta registrato il 7 aprile, a mezzanotte e cinque minuti”. Cosa ancora più anomala, dalle carte risulta esserci un elettrocardiogramma datato mezzanotte e trentadue minuti, sempre il 7 aprile: quindi la donna a quell’ora era viva, quaranta minuti dopo la chiamata alla figlia per comunicarne il decesso? Ma sfogliando i documenti, si scopre alcuni referti non appartengono a Giuseppina, ma a un altro paziente, un uomo. Qualcuno ha “mischiato le carte” all’interno della cartella clinica.
Lo scambio di salme
Dopo la morte, la famiglia chiede dove sia la donna, ma la salma, senza che venga fatto alcun riconoscimento e senza aspettare le 24 ore per scongiurare i casi di morte apparente, viene cremata. Ma non si sa se la persona cremata sia davvero Giuseppina o se sia invece Agnese, anche lei nei frattempo “sparita” e risucchiata dalla spirale confusionaria del Sant’Andrea. Parte quindi la denuncia, basata sul fatto che non ci sono certezze sulla data della morte. “Abbiamo la certezza che la data indicata nel certificato di morte sia successiva rispetto alla telefonata ricevuta dalla nostra assistita”, spiegano gli avvocati Romolo e Massimo Reboa. Poi c’è il punto della sparizione della salma, presumibilmente scambiata con quella di un’altra paziente. Poi c’è la questione della cartella clinica con i dati di un terzo paziente, un uomo, cosa che rende i dati della cartella clinica non attendibili e le procedure seguite dall’ospedale non corrette: quanto basta per aprire un fascicolo in Procura e cercare di fare luce su questa vicenda dai contorni oscuri.
“Ma non è tutto – aggiunge l’avvocato – Hanno infilato la donna in un sacco e l’hanno cremata, senza attendere i tempi corretti per verificare se si trattasse di una morte apparente. E se entro poco dopo il cuore avesse ripreso a battere, come la storia insegna? La filosofia del ‘Tanto deve morire perché ha 90anni’ riferita ai pazienti anziani deve scomparire. E’ una sensazione davvero brutta. Durante questa pandemia sta succedendo davvero di tutto: c’è stato un momento in cui ogni mattina ricevevo almeno una o due telefonate che segnalavano situazioni anomale. Bisognerebbe lasciare il viso scoperto a tutela del paziente e invece vengono chiusi in un sacco e bruciati”.