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Polpette con carne avariata nel carcere di Rebibbia: la denuncia dei detenuti

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Un detenuto presso il carcere di Rebibbia sale su una gru per protesta. Le trattative sono in corso per farlo desistere.

Latte annacquato, carne avariata e frutta marcia. Questo il menù a cui sono sottoposti da anni i detenuti di Rebibbia, costretti non solo a mangiare cibo scaduto, ma addirittura con un sovraprezzo rispetto al listino fuori dalle sbarre. È la situazione che emerge dagli esposti delle persone nel carcere di Roma, raccolte dalla Garante per i diritti dei detenuti, Gabriella Stramaccioni. Una condizione disumana e invivibile, su cui indaga la Procura di Roma fin da gennaio 2023 con il campionamento del cibo cucinato nel carcere, somministrato tramite aggiudicazione di un appalto.

Detenuti costretti a mangiare cibo rancido

Tutto ha un prezzo nelle carceri, ma non dovrebbe esserlo la dignità delle persone come invece sembra succedere a Rebibbia, a Roma. La situazione denunciata dai detenuti tramite lettere e raccontata da Repubblica è agghiacciante. Le derrate alimentari che arrivano al penitenziario prevedono scatolame scaduto, carne rancida, ma comunque utilizzata, e frutta marcia. Cibo che seppur pessimo viene comunque propinato. Laddove l’odore sia irrespirabile, vista la qualità pessima, ai detenuti si impone di coprirlo il più possibile con gli odori, pena la sollevazione dall’incarico nelle cucine.

Succede così che nella mensa di preparino polpette immangiabili, che la carne di suino, una volta cotta, rilasci schiuma viola e si riduca del 50%. Anche gli odori, per quanto usati in modo esagerato, non sono a portata di portafoglio, perché stando a quanto racconta Repubblica: “Il costo sostenuto dai detenuti è di circa 2 euro per una costa di sedano, una cipolla e un po’ di prezzemolo”. Lo stesso si può dire per il gas, utilizzato per cucinare il cibo insalubre: per 190 grammi di bomboletta di gas costa 2 euro e 10.

Le indagini dei finanzieri

La situazione va avanti dal 2015 quando, dopo la scadenza dell’appalto con una cooperativa, viene affidata la gestione a un’altra ditta. Vista la mole di segnalazioni da parte dei detenuti di Rebibbia, nel 2021 il caso arriva tramite la Garante per i diritti dei detenuti anche alla Procura di Roma, che apre un’inchiesta. A gennaio 2023 il primo riscontro: gli agenti del Nucleo di polizia valutaria della Guardia di finanza, coordinati dal pm Gennaro Varone, hanno campionato il cibo durante un blitz all’interno del carcere di Rebibbia. Le analisi in laboratorio hanno confermato la scarsa qualità degli alimenti, ritenuti non a norma. C’è poi un’altra questione, evidenziata sempre dalla Stramaccioni, che non riguarda solo i prezzi fuori mercato e il cibo scadente: sarebbe la stessa ditta a gestire sia il vitto che il sopravvitto.

Cos’è il sopravvitto

Il vitto è il pasto che viene distribuito ai detenuti dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap): colazione, pranzo e cena. Il sopravvitto sono invece i prodotti che i detenuti possono comprare dallo spaccio del carcere. Le aziende che vogliono candidarsi alla distribuzione giornaliera partecipano ai bandi di appalto presentando le relative offerte.

“I problemi che si sono registrati negli anni sono tre”, racconta il Sappe, il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, “Il primo è relativo allo svolgimento delle gare, per decenni sono state secretate. Il Dap, nel 2017, dopo diverse proteste e denunce da parte dei garanti regionali dei detenuti e delle associazioni, ha eliminato il sistema della segretazione annunciando un corso nuovo”. Le altre due problematiche concernono invece il prezzo di partenza degli alimenti erogati in carcere e la gestione del sopravvitto. “Il nuovo iter ha mantenuto inalterati altri due problemi. Innanzitutto, la partenza della base d’asta per il vitto a soli 3,19 euro”, spiega il Sappe, “Una cifra insufficiente a garantire una qualità minima dei pasti, su cui è intervenuto anche il Consiglio di stato nel 2019. È stato messo in discussione anche l’automatismo che concedeva la gestione del sopravvitto alle stesse imprese che si aggiudicavano la gara per i pasti giornalieri. Per risolvere i due problemi appena menzionati, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha emanato un disciplinare con cui ha aumentato la base d’asta a 5,70 euro e ha lasciato ai provveditorati la possibilità di scorporare i bandi per fornire vitto e sopravvitto”.

Il Caso del Lazio

Già a settembre 2021, quando il provveditore regionale del Lazio, Molise e Abruzzo avrebbe dovuto firmare i decreti per confermare gli affidamenti per l’approvvigionamento e la consegna delle derrate alimentari in carcere, la sezione regionale del Lazio della Corte dei Conti espresse dubbi sulla ditta appaltante nel carcere di Rebibbia. Secondo i magistrati, come ricorda il Sappe, c’erano perplessità “sulla legittimità a monte delle modalità di determinazione dell’oggetto del servizio”.

A generare dubbi il conflitto d’interessi che vedeva assegnare alla stessa azienda sia il vitto sia il sopravvitto, come esposto nel 2021 anche dalla Garante per i diritti dei detenuti del Lazio alla Procura. I giudici contabili evidenziarono che se il vitto ha una base d’asta di 5,70 euro, decisamente fuori mercato, le aziende proporranno cifre a ribasso e la conseguenza sarà che, per compensare il basso guadagno, si cercherà di colmare il ribasso con un aumento del costo sul sopravvitto. Un diritto che diventa così un privilegio per i detenuti, ma senza poter accedere veramente ai loro benefici. Solo a un’ingiustizia.

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