Ci sono cascata, lo ammetto. Lo scorso fine settimana, presa dalla curiosità che mi contraddistingue – e che molto spesso mi ha cacciata nei guai – ho scaricato Pokémon Go, il nuovo gioco scaricabile su smartphone che è riuscito a smuovere dal divano migliaia di persone, anche i miei amici più pigri.
Il divertimento – ovviamente soggettivo – consiste nello scovare questi personaggi dei cartoni animati sparsi per le vie di tutto il mondo; il gioco si collega al Gps del cellulare e riesce così a individuare non solo la vostra posizione – privacy a farsi benedire, ma ormai ci siamo abituati – ma anche quella dei Pokémon presenti nei dintorni. Quando questo accade, il gioco si scollega dalla visualizzazione mappa e si collega alla fotocamera del vostro cellulare, facendovi visualizzare i simpatici esserini come se presenti realmente, posizionati anche sulla testa delle persone che avrete davanti, o sulla macchina del vicino di casa o accanto alle chiappe di una bella signorina; immaginate le figure barbine che andrete a fare mentre cercherete di imprigionare Bulbasaur e non riuscirete perché il tizio di fronte a voi gli sta proprio davanti. Ecco, bravi, avete immaginato bene.
Figure tremende a parte – che vi dirò, per quanto mi riguarda vanno pure bene e anzi, potrebbero portare anche a delle sane e preziose risate – quello che in verità mi sta lasciando seriamente perplessa, non è solo la guerriglia tra pro e contro Pokémon Go – effettuata a suon di epiteti irripetibili su ogni social esistente – ma anche, se non soprattutto, uno dei tanti titoli letti sui giornali usciti negli ultimi giorni. Vi faccio degli esempi, così da farvi comprendere al meglio: “Diciottenne incinta investita; stava giocando a Pokémon Go”, e ancora “Pokémon Go causa incidente, giovane va a sbattere contro un albero” segue, “Pokémon GO, vera follia: incidente con auto polizia negli USA e prima multa in Italia”. E per chiudere in bellezza e in grazia di Dio senza altri morti e feriti, “Gran Bretagna; giovani rubano una barca per catturare un Pokémon.” e per ultimo, “Pochi i Pokemon, Venezia penalizzata. Scatta la petizione”. No, scusate. La petizione? Ma che davvero davvero? Ora, partendo dal presupposto che ognuno di noi è l’artefice del proprio destino, nonché responsabile dei propri neuroni, vi pare normale che un gioco, seppur simpatico, divertente, coinvolgente, debba portarci ad avere incidenti, prendere multe, rubare o unirci agguerriti per far valere i nostri “diritti di giocatori”? Anche perché poi, lasciatemelo dire, quando c’è da far valere quelli veri, di diritti, vige spesso il silenzio. Davvero, scusatemi! Sarò pure paleolitica, antica, retrograda, rompipalle, definitevi un po’ come vi pare, ma per me la risposta è no, non è normale! E credetemi, non colpevolizzo il giochino che è pure simpatico se utilizzato con senso e nelle giuste dosi, ma non riesco a non preoccuparmi per la nostra società, per i giovani che la compongono, per la solitudine che indubbiamente la domina e per tutte quelle persone che non conoscono vie di mezzo, le stesse capaci di trasformare un applicazione per cellulare in ossessione.
A tutto c’è un limite ragazzi. Vediamo di ripigliarci, magari anche in fretta.
Alessandra Crinzi