E’ un Simone Carabella che è ripartito dalle parole della mamma, che si è visto uccidere il figlio due volte (“Ho sempre confidato nella giustizia, ma oggi capisco che la giustizia è dalla parte di chi uccide” ha raccontato la donna a caldo, subito dopo la sentenza), quello che ancora una volta si schiera in difesa di chi ha subito un torto. Un torto che gli è persino costato la vita nel fiore della propria giovinezza. E lo fa mobilitandosi ancora ed annunciando la sua partecipazione all’iniziativa che il 18 maggio, a Cerveteri, terrà viva l’attenzione sull’uccisione di Marco Vannini, deceduto in circostanze tragiche la sera del 18 maggio 2015, a Ladispoli. Della sua morte è stata emessa in primo grado una condanna a 14 anni per omicidio volontario, 3 tre condanne a 3 anni per omicidio colposo, ed una assoluzione, quella della fidanzata, nella cui casa Vannini si trovava quando è stato raggiunto da un colpo d’arma da fuoco.
La condanna più pesante per il padre della fidanzata, Antonio Ciontoli, tre anni invece per la moglie Maria Pezzillo e per i figli Martina e Federico. Il ragazzo, secondo la ricostruzione dell’accusa, morì dopo 3 ore di agonia a causa di un colpo di pistola sparato nella casa della fidanzata al termine di una cena di famiglia. Decisivi i ritardi nei soccorsi, con gli accusati che cercarono di coprire quanto accaduto, facendo perdere minuti preziosi.
Rabbia nelle parole della famiglia di Vannini alla lettura della sentenza e rabbia nelle parole di Simone Carabella nel commentare l’epilogo: “Ancora una volta ci troviamo di fronte ad una Magistratura che condanna la vittima e tutela l’assassino, in un caso molto simile a quello di Francesco Maria Pennacchi, ucciso a Velletri per mano di un albanese cui la pena comminata è stata notevolmente inferiore a quanto un omicidio di quella brutalità avrebbe meritato. Il 18 Maggio, dalle 20, nel 3° anniversario dalla tragedia – aspetto tutti a Cerveteri, dove sarò con mamma Marina per chiedere che giustizia sia fatta. Noi non ci stiamo a rimanere inermi dinanzi a tali soprusi – ha dichiarato con fermezza Simone Carabella – ed è per questo che invito tutti ad invadere Cerveteri, affinché si possa essere una voce sola, fragorosa ed impetuosa, attraverso la quale chiedere e pretendere che la giustizia per chi ha ammazzato Marco sia esemplare”.
Va ricordato che la sentenza, nei giorni scorsi, è stata accolta da forti proteste da parte delle molte persone presenti in aula per assistere all’udienza del processo che ha avuto una grande eco mediatica. “Vergogna”, “basta con questa giustizia”, “schifosi” le parole levatesi dai “banchi” della famiglia del giovane, che fu colpito da un proiettile che dalla spalla gli arrivò fino al cuore, uccidendolo. Gli imputati ai soccorritori non dissero che il giovane era stato ferito da un colpo di pistola e che si trovava in fin di vita nella vasca da bagno, dove fu poi trovato dai medici.
“Marco urlava come un disgraziato in quella casa – ha dichiarato attonita Marina – e gli hanno dato solo 14 anni? Quale messaggio arriva dalla giustizia ai giovani? Che puoi uccidere chiunque e andare in giro come se niente fosse”. “Eppure anche in quell’aula c’è scritto che la giustizia è uguale per tutti” ha aggiunto esterrefatto Simone Carabella.
“Mio figlio è in quel fornetto da 3 anni e chi lo ha ucciso sta festeggiando” ha aggiunto la donna, che sarà supportata proprio da Carabella, pronto a dirigersi verso il litorale tirrenico per supportare questa ennesima battaglia al fianco di chi, per lui, è stato vittima “dell’ennesimo sopruso di uno Stato che tutela i carnefici e si fa beffe delle vittime”.
“Se un ragazzo giovane, bello, nel pieno della salute viene ucciso e lasciato morire e per la giustizia italiana la sua vita vale solo 14 anni, che tradotto in Italia equivale forse a 2-3 anni di domiciliari, significa che qualcosa non sta andando nel verso giusto” ha dichiarato proprio Simone Carabella in un video lanciato sui suoi profili social. “Ma noi non ci stiamo – ha aggiunto – e la vita di Marco Vannini non la lasceremo dimenticare così. La sua vita non vale 14 anni e il 18 maggio saremo in piazza insieme a tutta la famiglia per dire “Non il mio nome”, visto che non ci sentiamo di poter accettare una sentenza in cui chi l’ha emessa ha detto persino di farlo “nel nome del popolo italiano”. Ma nel nome di chi?” ha concluso Carabella, sempre più determinato nella sua quotidiana battaglia protesa a restituire “orgoglio e dignità al popolo italiano”.