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Omicidio Luca Ventre, ucciso nell’ambasciata italiana dell’Uruguay: la famiglia si oppone all’archiviazione

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Luca Ventre

L’Uruguay chiede l’archiviazione per l’omicidio di Luca Ventre, l’imprenditore ucciso nell’ambasciata italiana all’interno dello Stato sudamericano. L’uomo, nel gennaio 2021, venne bloccato da un vigilantes dopo aver scavalcato il muro dell’ambasciata in stato di shock, morendo durante la manovra di fermo per un probabile soffocamento legato alla presa di arti marziali per immobilizzarlo a terra.

L’Uruguay vuole chiedere l’archiviazione sull’omicidio di Luca Ventre

Pur non essendo stata fatta giustizia, lo Stato uruguaiano vorrebbe chiudere la pratica attorno alla morte di Luca Ventre. Una richiesta che però, almeno in Italia, non è stata gradita dalla famiglia dell’uomo. Infatti, i familiari vorrebbero che venissero portate avanti le ricerche della verità attorno al decesso dell’imprenditore, continuando a indagare soprattutto sulla figura del vigilantes che avrebbe ucciso, presumibilmente, l’uomo italiano. 

Perché l’Uruguay chiede l’archiviazione del caso?

Dietro la scelta uruguaiana, non c’è solo il discorso di un potenziale imputato del proprio Paese. Le motivazioni dello Stato sudamericano, da sempre però vicino alla cultura italiana, risiede in quella che sarebbe la loro ipotesi più accreditata sulla morte di Luca Ventre. Infatti gli inquirenti sosterrebbero che era in stato “”iperadrenergico causato dall’eccitazione psicomotoria, associata al consumo di cocaina, con le ripercussioni elettrofisiologiche a livello cardiaco, avvenute in un contesto di misure di contenzione fisica”, come peraltro affermato da La Repubblica quest’oggi.

La difesa della famiglia Ventre

La difesa della famiglia di Ventre, al contrario, riparte dall’autopsia analizzata dal sostituto procuratore Colaiocco. Egli infatti sostiene come “Luca Ventre è morto per asfissia meccanica violenta ed esterna per una prolungata costrizione del collo che provocò l’ipossia cerebrale, dalla quale derivarono il grave stato di agitazione psicomotoria e l’arresto cardiaco irreversibile, non potendosi escludere una concausalità nell’azione della cocaina”. 

Inoltre, “ci sarebbero molteplici elementi più che sufficienti a sostenere in giudizio la responsabilità dell’indagato”. Insomma, ci sarebbero le condizioni per riaprire il processo. 

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