Ragionavo: in quegli anni eravamo persone libere e non lo sapevamo. Uscivamo di casa senza cellulare, aggeggio malefico che oggi ci rende reperibili 24 ore su 24, e non solo con le chiamate, ma anche con Whatsapp, Telegram, mail, sms e l’anima de li mortacci di chi ha inventato lo smartphone. Negli anni ’90 avevamo i telefoni pubblici della Sip poi diventata Telecom, i gettoni che valevano 200 lire e le tessere telefoniche che da bimbi collezionavamo o attaccavamo alle ruote delle biciclette per fargli fare, mentre erano in movimento, un rumore assordante.
Nostalgia canaglia… degli anni 90
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Rimpiango da morire le agende con lo spazio per la rubrica telefonica. Le ricordate? Quelle che cambiavi alla fine di ogni anno, ritrovandoti a trascrivere i numeri di telefono dei tuoi parenti e amici. Era un rito che permetteva di aggiungere nomi o magari eliminarne, ma mai di lasciarli lì, abbandonati, come invece accade oggi; duemila numeri di telefono, 278 mail, 4 amici veri. Forse.
Volete mettere? I fatti nostri rimanevano tali perché li scrivevamo sulla Smemoranda, non su Facebook. Dai! La Smemoranda! Quel diario che riempivamo di parole e di ogni altra cosa, scontrini, biglietti del cinema e pure la carta che avvolgeva il chewing-gum masticato prima di ricevere quel bacio a stampo. Capitava, nei casi più feticisti, che sulla Smemo ci finissero pure i chewing-gum, e per quanto tutto ciò potesse far schifo, quell’attimo rimaneva solo nostro e di nessun altro. Vivevamo i momenti a pieno, per noi stessi, non per avere il consenso altrui, non per condividere sui social ed essere acclamati a suon di like, cuori, stelline e stic…
Non avevamo YouTube, non esisteva iTunes e nemmeno Spotify e la musica la si ascoltava con le cassette o i cd acquistati nei negozi. Io, le prime, le creavo registrando le canzoni dalla radio. Era un rito che ricordo con grande malinconia; stavo lì, ore, disegnavo e scrivevo, aspettando quella canzone che avrebbe completato la mia musicassetta del mese.
Non avevamo l’iPod, possedevano il walkman dotato di batterie e cuffie bruttissime, ma ci sentivamo comunque importanti, perché camminavamo per strada a ritmo di musica; ascoltavamo qualcosa che potevamo sentire solo noi, e ci bastava.
Non avevamo Sky, non c’era Netfix e nemmeno Infinity, in compenso avevamo Bim Bum Bam con Paolo Bonolis treenne e Notte Horror al martedì sera su Italia 1 che aspettavamo, dopo la prima serata, con un’ansia incredibile. C’era Giochi senza frontiere che ci teneva incollati alla TV per delle ore a tifare peggio che ai mondiali. Avevamo il Festivalbar che segnava l’inizio dell’estate, Mai dire Banzai e Ciro che ci facevano fare una marea di risate, e poi c’erano tutti quei telefilm meravigliosi come come Friends, La Tata, Pappa e ciccia, Beverly Hills 90210, Willy il principe di Bel Air, Dawson’s Creek, Baywatch, Tequila e Bonetti e ora smetto di elencarli, non perché ho paura di annoiarvi, ma perché mi viene da piangere per la malinconia.
Il microonde si trovava già nei negozi di elettrodomestici, ma a casa mia era considerato fantascientifico più della Batmobile. I 4 salti in padella Findus non ci convincevano molto e il Mulino Bianco non aveva come affittuario Banderas, ma nonostante ciò, ogni volta che mia madre mi prometteva una cena a base di mozzarella in carrozza, sofficini, e un soldino come dolce, per me era una vera e propria festa.
Internet esisteva già, ma era lento e per pochi. Non avevamo le chat e nemmeno i siti d’incontri; non ce n’era bisogno, perché eravamo abituati ad incontrarci in giro, a far conoscenza, ma per davvero.
Non conoscevamo gli eBook, leggevamo solo libri che profumavano di immaginazione. Non avevamo lezioni e master a distanza, ma possedevamo lauree che avevano un valore, vero. Non frequentavamo scuole che ci insegnavano ad essere leader di noi stessi, né potevamo controllare su Google come scrivere curriculum o come trovare impiego, e tutto questo non ci pesava, perché lavorare non era utopia ma diritto e soprattutto, perché ancora possedevamo la speranza in quel futuro che avremmo preferito meno tecnologico, ma decisamente più sereno.
Alessandra Crinzi