Della morte di Marco Vannini hanno parlato tutti i giornali. Locali, nazionali e internazionali. Della vicenda del giovane di Cerveteri si sono occupati giuristi, politici, ma soprattutto cittadini, che hanno preso a cuore i genitori di questo ragazzo appena ventenne strappato alla vita per chissà quale oscuro motivo che, per chissà quale ancora più oscura ragione, non riesce ad avere piena giustizia per quello che gli è stato fatto. Della sua morte, dicevamo, hanno parlato tutti. Ma della sua vita possono parlare in maniera corretta e precisa solo i loro genitori. Lo fa la mamma Marina Conte, con l’aiuto del giornalista-scrittore pometino Mauro Valentini, e ne viene fuori un libro che è una storia da leggere tutto d’un fiato, che prende e commuove, che fa salire le lacrime e la rabbia insieme, oltre al dolore devastante, anche se non sarà mai il dolore che ha provato e che continua a provare questa famiglia da quel maledetto 18 maggio del 2015, quando venne ucciso da un proiettile sparato all’interno della villetta di casa Ciontoli, a Ladispoli.
IL RACCONTO DI MAMMA MARINA
Mamma Marina racconta la sua vita, dall’amore per Valerio, suo marito e padre di Marco, alla nascita del loro bambino, fino al giorno della tragedia. Parla di Martina Ciontoli, la fidanzata di Marco, dell’impressione che le ha fatto sin dal primo momento che l’ha vista, del rapporto che ha instaurato con quella ragazza bellissima ma dagli occhi di ghiaccio. E poi della morte di Marco. Delle stranezze che ne sono seguite, delle anomalie. E dei processi, fino a quel “Non in mio nome”. Non stiamo qui a raccontarvi il libro, perché vale davvero la pena leggerlo. “La verità sul caso Vannini” è una fotografia di quanto realmente accaduto, raccontato dai protagonisti.
L’INTERVISTA
- Marina, quanto le è costato a livello emotivo tirare fuori tutti questi ricordi e renderli pubblici?
“Molto, perché in quel libro c’è la vita di Marco, la mia e quella di Valerio, mio marito. Marco era una persona molto riservata, che non avrebbe mai voluto che uscisse mai niente su di lui, ma io l’ho fatto con l’intento di far rimanere mio figlio nella storia, nel senso che venga conosciuto per quello che veramente era e non solo per la sua morte. Quando si parla di Marco esce sempre fuori il processo, il “caso Vannini”, ma poi nessuno sa chi fosse veramente questo ragazzo, il suo vissuto, i ricordi di 20 anni di vita. In tanti mi avevano chiesto di scrivere un libro su di lui, ma non mi ero mai decisa a farlo. Solo quando ho conosciuto Mauro, di cui ho avuto immediata fiducia, ho capito che era la persona giusta per trasmettere attraverso un libro la vita di mio figlio, la sua morte e le fasi del processo”.
- Nel libro, oltre alle parti dolorose, ci sono anche i ricordi belli, che fanno conoscere la vita di Marco sotto aspetti completamente diversi rispetto a quelli a cui eravamo abituati: come mai questa scelta?
“Proprio perché volevo che ci si avvicinasse a Marco come persona e non solo come al ‘caso Vannini’, perché volevo far conoscere mio figlio come un ragazzo di 20 anni che amava la vita, che amava studiare e la cultura, che aveva progetti per il futuro. Adesso i proventi del libro saranno destinati ai Comuni di Cerveteri e Ladispoli per attività sociali, per aiutare altre persone giovani come lui, altri progetti, nel nome di Marco. In questo modo, attraverso il libro, conosceranno di mio figlio non solo la vicenda giudiziaria, ma anche il carattere, il modo di fare e tanto altro”.
- Cosa le fa più rabbia?
“La rabbia è un sentimento che non posso far trasparire, perché con la rabbia non si arriva a niente, però pensare che, a distanza di 5 anni, stiamo ancora lottando per ottenere giustizia e sapere che la verità giudiziale non è la verità storica… non è confortante. Ma chi avrebbe potuto dire la verità era solo Marco e lui non c’è più”.
- Non in suo nome, ma neanche in nome di tantissimi italiani che sono dalla parte della famiglia Vannini: la consola il fatto che ci siano state tante manifestazioni contro la sentenza pronunciata dai giudici?
“È stata una sentenza vergognosa, a mio avviso, la sentenza pronunciata in appello dai giudici, dando solo 5 anni a Ciontoli. Evidentemente avranno fatto tutto un ragionamento che li avrà portati a quella conclusione che per me non è giusta, perché la vita di mio figlio no può valere 5 anni. E il messaggio che arriva alla gente è questo: si può uccidere chiunque e farla praticamente franca, perché 5 anni, tra sconti di pena e permessi, quanti sono realmente di carcere? Secondo me si passa un messaggio sbagliato”.
- Qual è la sua speranza adesso?
“Avere giustizia per mio figlio. E la Cassazione mi ha ridato questa speranza. Ho sempre lottato, insieme a mio marito e alla mia famiglia, e sempre lotterò fino a quando non ci sarà giustizia per Marco, perché non si può ferire in quel modo una persona e lasciarla morire per 110 minuti, invece di salvarla. Perché Marco si poteva salvare, invece non hanno fatto niente, c’è stata una ‘condotta omissiva’ che ha portato mio figlio alla morte”.
- Quali sono i suoi sentimenti nei confronti della famiglia Ciontoli adesso, a distanza di 5 anni?
“Io quella famiglia l’ho cancellata dalla mia mente. Penso solo ad avere giustizia per Marco e loro devono pagare per quello che hanno fatto. I sentimenti a volte sono di rabbia, perché hanno ucciso mio figlio e tutti noi, perché noi siamo morti tutti quel maledetto 18 maggio 2015. Spesso ho problemi quando devo firmare e mettere la data: per me è sempre il 2015”.