Maxi sequestro di beni, per un valore totale di 30 milioni di euro, nei confronti di Giovanni Pilo, 83enne imprenditore edile palermitano residente a Guidonia Montecelio. Il sequestro è avvenuto ieri: il provvedimento è stato emesso dalla Prima Sezione penale e misure di prevenzione del Tribunale di Palermo su proposta del direttore della Dia, il generale Giuseppe Governale, d’intesa con il pm Dario Scaletta, dell’Ufficio Misure di Prevenzione, coordinato dal procuratore aggiunto Marzia Sabella.
Secondo l’accusa, il costruttore Giovanni Pilo sarebbe un uomo d’onore della famiglia mafiosa di Palermo – Resuttana. Gli accertamenti svolti hanno inoltre disvelato una netta sperequazione fra i redditi dichiarati da Pilo rispetto agli acquisti effettuati ed agli investimenti sostenuti per l’attività d’impresa. Ciò ha indotto il Tribunale della prevenzione a concordare con la DIA sul fatto che i capitali utilizzati fossero di provenienza illecita e a disporre, conseguentemente, il sequestro dei sui beni e di quelli intestati alla coniuge e al figlio, stimati prudenzialmente in 30 milioni di euro: ‐ intero capitale sociale e relativo compendio aziendale di 5 società di capitali con sede in Roma; ‐ quote di partecipazione in 2 società di capitali, operanti nel settore immobiliare e delle costruzioni edili; ‐ 2 strutture ricettive alberghiere: una pronta, in Ladispoli (Rm) e un’altra, in Guidonia Montecelio, ancora in corso di definizione; ‐ 38 immobili, alcuni locali commerciali e 4 terreni ubicati fra Palermo, Terrasini (Pa), San Vito lo Capo (Tp), Roma e Dello (Bs) ed una grande villa ubicata a Mondello (Pa); ‐ 6 rapporti bancari e 5 polizze vita.
Nel 1976 e nel 1985 Pilo fu sottoposto a Sorveglianza Speciale per gravi indizi di appartenenza a Cosa nostra, sulla base dei collegamenti accertati con Calogero D’Anna, esponente mafioso della famiglia di Terrasini, dei rapporti intrattenuti con la famiglia Gambino, inserita nella famigerata cosca della Noce, tra l’altro per aver sposato nel 1974 Anna Gambino, sorella di Giacomo Giuseppe, capo del mandamento di San Lorenzo e quindi componente della Commissione provinciale di Palermo di cosa nostra – la Cupola. Ma anche per gli stretti rapporti intercorsi con Francesco Cinà, esponente mafioso della famiglia di San Lorenzo, a cui aveva dato disponibilità di una villa, all’interno della quale venne ospitato, fra gli altri, l’allora latitante Leoluca Bagarella (secondo quanto riferito dal defunto mafioso Leopoldo Di Trapani), e detenute illegalmente armi e munizioni. Inoltre, a seguito delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia Tommaso Buscetta, Salvatore Contorno e Salvatore Anselmo, fu rinviato a giudizio nell’ambito del maxi-processo e successivamente condannato a 7 anni di reclusione per partecipazione ad associazione mafiosa. Le odierne indagini patrimoniali, svolte dalla DIA hanno consentito di ricostruire la carriera professionale di Giovanni Pilo, schierato, nel corso della seconda guerra di mafia degli anni ’80, dalla parte dei Corleonesi, i quali, risultati “vincenti”, scelsero di farsi affiancare anche da costruttori edili per il controllo dell’urbanizzazione selvaggia ed il conseguente avvio di progetti speculativi ai danni del capoluogo siciliano (cosiddetto sacco di Palermo).