Le aveva ucciso il cane a mani nude. Poi l’aveva aggredita, spinta dentro il suo furgone e lì l’aveva molestata sessualmente. Poi, non contento, l’aveva anche minacciata di morte. Tutto si era concluso solo grazie all’intervento di un carabiniere fuori servizio, anche lui vittima della furia dell’uomo, un 36enne senza fissa dimora di origine bulgara.
Adesso il 36enne è stato condannato a 8 anni di carcere. I reati contestati sono tentato omicidio, violenza e lesioni a pubblico ufficiale, tentata estorsione e rapina. A cui si aggiunge l’uccisione di animali.
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I fatti
La vicenda è accaduta il 27 settembre del 2021. Tutto ha avuto inizio a Nettuno, verso le 16.30. Il 36enne, dopo un alterco con una donna di 51anni di Nettuno, presidente di un’associazione animalista, e le uccide il cagnolino a mani nude, colpendolo con i pugni. Poi la spinge all’interno del suo stesso furgone, si mette alla guida, se ne impossessa e parte.
Di fianco c’è la donna, terrorizzata. Lo straniero inizia a minacciarla di morte e, nel contempo, a molestarla sessualmente. L’auto viaggia in direzione Nettuno-Velletri. La donna teme di fare la stessa fine del suo cagnolino: quando il furgone arriva in zona Campoverde, ad Aprilia, si lancia dal veicolo in corsa.
Il salvataggio
Ad assistere alla scena un carabiniere del reparto territoriale di Aprilia fuori servizio, immediatamente intervenuto. Il militare, che è alla guida della sua auto, nota quello che sta accadendo della macchina accanto. Scende dalla sua per prestare soccorso. Ma viene aggredito anche lui, con colpi al torace e alla testa, malgrado si fosse qualificato. Il carabiniere allora chiama la centrale. Grazie all’arrivo di un collega, riesce a raggiungere il malvivente e ad arrestarlo.
La versione del 36enne
L’uomo ha raccontato al giudice che il suo non era stato un sequestro di persona. La donna, secondo la versione del 36enne, era salita di sua spontanea volontà perché i due si volevano appartare. Sempre secondo lo straniero, i due avevano una relazione. Ma il giudice non ha creduto a questa versione. L’ipotesi ricostruita dall’accusa è invece quella a cui il giudice ha dato credito, riconoscendo addirittura un anno in più rispetto a quanto chiesto dal Pm.
Da quanto ricostruito, i due effettivamente si conoscevano. La donna aveva ospitato per un periodo il 36enne, allontandolo in seguito alle sue condotte violente e al suo stato psicofisico spesso alterato. E proprio per questo l’uomo avrebbe avuto una reazione spropositata.
La reazione della Lega Nazionale per la difesa del cane
Sulla terribile vicenda ha voluto esprimersi anche la Lega Nazionale per la Difesa del Cane.
“Una vicenda raccapricciante, di quelle che colpiscono nel profondo, si è conclusa con una sentenza che finalmente fa giustizia. Rita Di Mario, presidente dell’Associazione “L’Arca di Rita”, che da anni accudisce cani randagi a Nettuno (RM), ha visto concludersi il processo a carico del suo aggressore, dopo tanto dolore e dopo tutta la violenza e la crudeltà subite durante il sequestro che risale a settembre dello scorso anno, nel corso del quale era stato ucciso il suo cane, un piccolo chihuahua. Ieri il giudice del tribunale di Latina, Giorgia Castriota, ha emesso la sentenza per i reati di sequestro di persona, lesioni aggravate, tentato omicidio, estorsione e uccisione di animale. Per quest’ultimo reato LNDC Animal Protection, LAV ed ENPA, tutte assistite dall’avv. Michele Pezone, si sono prontamente costituite come parti civili. Il criminale, un uomo di 36 anni, è stato condannato, con rito abbreviato, a 8 anni di carcere, un anno in più rispetto a quanto richiesto dal pubblico ministero”.
36enne accolto per fare il volontario
“L’aggressore aveva sequestrato la donna, tentato di ucciderla e per meglio farle capire le sue intenzioni, durante il rapimento, ha ucciso il suo cagnolino a suon di pugni, colpendo ripetutamente fino a trucidarlo proprio davanti agli occhi terrorizzati della donna, atterrita da tanta malvagità e furia cieca. Ma la storia è ben più complessa e articolata di così. Rita, infatti, è la Presidente di un’associazione che tutela gli animali e aveva accolto l’uomo di origini bulgare per fargli svolgere attività di volontariato nella sua struttura. Ma in breve tempo l’uomo, complice il suo continuo stato di alterazione dovuto all’assunzione di alcolici, ha cambiato atteggiamento e si è fatto aggressivo, minaccioso e violento, motivo per cui è stato allontanato dall’associazione. Ed è qui che l’uomo ha iniziato a perseguitare la donna minacciandola continuamente di morte, fino al momento in cui è arrivato a sequestrarla nel suo stesso furgone. E così per Rita è iniziato il peggiore degli incubi durato 15 chilometri, da Nettuno a Campoverde. Durante il tragitto l’aggressore ha continuato a usare violenza nei confronti della donna e del suo piccolo compagno di vita, che non è sopravvissuto ai colpi ricevuti. Arrivata a Campoverde, Rita ha avuto la forza e la prontezza di gettarsi dal furgone. Lui ha bloccato il mezzo, è sceso e le è saltato addosso per finirla, ma fortunatamente un carabiniere di passaggio ha visto cosa stava accadendo e l’ha salvata dal suo aguzzino. L’incubo ha così avuto fine”.
Commentano così la vicenda le Associazioni animaliste che hanno preso parte al processo: “Un caso che lascia senza parole per la violenza inaudita che lo caratterizza e per cui siamo subito accorsi in aiuto di Rita, per sostenerla anche personalmente in questa tragedia, non solo a livello processuale”. Concludono: “Purtroppo questa storia rende perfettamente l’idea di come la violenza non conosca limite e quando qualcuno si mostra violento nei confronti degli animali, rischia di essere un pericolo per la società intera. Siamo tutti potenziali vittime di persone che non hanno rispetto della vita e della libertà altrui: animali e esseri umani in modo indistinto. La vita va tutelata sempre, senza se e senza ma, e le pene devono essere esemplari perché chi delinque non si trovi più nelle condizioni di poterlo fare di nuovo”.