Si celebra oggi, 17 gennaio, la giornata internazionale della pizza: il piatto simbolo dell’Italia per eccellenza viene infatti celebrato in tutto il mondo.
Ne andiamo tutti pazzi, è il piatto che ci rende felice, ma anche un grande motore economico italiano. Sforniamo otto milioni di pizze al giorno. Oltre tre miliardi di pizze all’anno per un giro d’affari che ha sfiorato i 15 miliardi di euro (nel 2018). Centodiecimila pizzaioli a tempo pieno che salgono a 200mila nei fine settimana, l’indispensabile motore umano di circa 130mila esercizi che producono e vendono pizze.
Sono numeri che fanno impallidire per l’impatto socio-economico sull’Italia. E trasformano il patrimonio dell’umanità Unesco – l’arte dei pizzaiuoli napoletani, come testualmente riconosciuta a dicembre 2017 – in patrimonio del nostro quotidiano. E in uno tra i più attivi fattori di sviluppo economico del nostro Paese. Messo sotto i riflettori dall’Osservatorio pizza di CNA Agroalimentare, giunto alla seconda edizione.
Oggi come avrete capito celebriamo un grande simbolo del Made in Italy, in occasione della Giornata mondiale della pizza
QUANTO SPENDIAMO PER LA PIZZA – Per la pizza noi italiani spendiamo quasi 14 miliardi e mezzo di euro, a testa 290, gli stranieri 600 milioni, il tutto grazie al lavoro quotidiano di 110 mila pizzaioli che a tempo pieno si aggirano tra forni e mattarelli, nel fine settimana si arriva addirittura a 200 mila. Un settore dunque che muove il lavoro, se si pensa che i collaboratori che ruotano attorno ai pizzaioli sono in tutto non meno di 150mila.
UN PIATTO ANTI CRISI – Per la pizza non c’è crisi che tenga. O forse è proprio la crisi a trainarne il boom, per il costo mediamente moderato di un cibo nutriente e gustoso come pochi. La crescita delle imprese con attività di pizzeria negli ultimi anni è stata costante. Da 125.300 che erano nel 2015 sono salite a circa 127mila nel 2017 e a 128.248 nel 2018, segnando un ulteriore incremento dell’1,1% in un solo anno. Disaggregando questo dato scaturisce che, in realtà, il classico ristorante/pizzeria ha perso qualche colpo (-0,3%) negli ultimi dodici mesi, scendendo (sia pure di poche unità) sotto i 40mila esercizi complessivi. In crescita, invece, tutte le altre tipologie di attività, che producono e/o servono pizza per il “consumo veloce”, e sicuramente meno costoso: + 4,5% le panetterie, +2,6% le gastronomie, +1,9% le pizzerie da solo asporto, +1,6% le rosticcerie, +0,4% i bar.
CAMPANIA IN VETTA CON QUALCHE SORPRESA – A livello regionale – e come poteva essere altrimenti? – è la Campania a farla da padrona in termini assoluti, con 17.401 esercizi, pari al 13,6% del totale nazionale. Sul podio le fanno compagnia Lombardia e Sicilia, con 14.171 attività (11,2%) e 13mila attività (10,2%) rispettivamente. A tallonare la Sicilia c’è il Lazio, con 12.639 attività (10%). Quindi, quasi appaiate, Toscana e Puglia (7,8 e 7,7%) e, a completare la top ten, una dietro l’altra: Calabria, Emilia-Romagna, Veneto e Sardegna.
Per densità di esercizi, invece, a primeggiare è l’Abruzzo, con un’attività aperta ogni 263 abitanti. A pochissima distanza il Molise (un esercizio ogni 265 residenti) e la Sardegna (uno ogni 267). Più distanziate la Calabria (un’attività ogni 290 persone) e la Campania (una ogni 335). Tra le prime dieci regioni anche Sicilia, Toscana, Marche, Basilicata e Puglia.
Per aperture di nuove attività nell’ultimo anno è impressionante la crescita della Val d’Aosta. In soli dodici mesi ha più che raddoppiato il numero di esercizi, registrando un +56,8%. Piccoli numeri in assoluto (le attività sono salite da 109 a 301) ma il dato è parimenti significativo. Sul podio anche il Molise (+14,9%) e il Friuli Venezia Giulia (+9,5%). E poi nell’ordine Umbria, Basilicata, Liguria, Trentino Alto Adige, Sicilia, Piemonte, Sardegna, Emilia Romagna, Abruzzo, Puglia, Lazio e Marche. Alcune (grandi) regioni, però, hanno fatto qualche passo indietro, diminuendo le attività. Tra di loro – e fa notizia – la Campania. Lombardia (-0,1), Campania (-0,2%), Toscana (-0,3%), Veneto (-1,2%) e Calabria (-2,1%) le regioni con saldo negativo degli esercizi aperti.
(fonte agricoltura.it)