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Cibo avariato a Rebibbia, maxi-inchiesta: indagano anche Corte dei Conti e Anac

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recinzione carcere

Dietro al cibo avariato somministrato ai detenuti di Rebibbia ci sarebbe un vero e proprio business. Quello gestito dalla società responsabile delle mense del penitenziario romano, oggi denunciata dopo anni di segnalazioni della Garante dei detenuti, Gabriella Stramaccioni. La ditta napoletana portava avanti un sistema che ledeva i diritti delle persone tra le sbarre e puntava al massimo profitto sul cibo scaduto, ma acquistato a costi esorbitanti. Sul caso indagano ora anche la Corte dei Conti, il Consiglio di Stato, Anac e Authority.

Nel fascicolo risultano indagati per frode in pubbliche forniture i due responsabili della società incaricata ai pasti, accusati di non aver rispettato l’appalto nei quattro istituti del penitenziario romano. L’indagine dell’Anac, però, potrebbe scoverchiare un vaso di Pandora che non si limita solo alle strutture romane, ma anche all’alimentazione dei detenuti nel resto d’Italia.

Il Tar dell’Emilia stoppa le forniture nelle carceri

La ditta incriminata aveva forniture non solo a Roma,  ma anche nei penitenziari emiliani. Dopo le rivelazioni shock delle ultime settimane, il Tar emiliano ha deciso perciò ad annullare i decreti con cui la società si era aggiudicata appalti a Bologna, Castelfranco Emilia, Ferrara, Forlì, Ravenna, Rimini, Modena e Reggio Emilia.

Come racconta Repubblica, secondo gli inquirenti la ditta vanterebbe numerosi appalti per un giro di affari 30 milioni di euro. Il tutto puntando sul cibo scadente, acquistato a cifre discutibili. Con 2 euro e 39 centesimo un detenuto nel Lazio sarebbe riuscito ad acquistare colazione, pranzo e cena, pena la qualità del vitto, tra carne rancida, frutta marcia e latte annacquato. La cifra ora è stata aggiornata a 3 euro e 90 centesimi per carcerato, ma la situazione va avanti ormai da anni, come i detenuti hanno raccontato via lettere alla garante dei detenuti.

Cartello di imprese e gare a ribasso

Secondo l’Agcm, l’autorità garante della concorrenza e del mercato, il caso è frutto di un sistema collaudato. Un “cartello di imprese” che punterebbe a spartirsi gli appalti delle mense carcerarie a tavolino. Non solo nel Lazio, ma anche in Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia. Indagini però si sono interrotte il 12 giugno 2023, quando l’autorità ha riposto l’ipotesi ammettendo che non sussistono sufficienti elementi per accertare la violazione.

Il ribasso sui pasti dei detenuti a Rebibbia, però, era stato già evidentizato dalla Corte dei Conti nel 2021, quando l’appalto era stato vinto con un ribasso del 57,98% sulla diaria pro capite di 5,70 euro. Ciò non ha impedito comunque alla ditta, oggi accusata di frode in pubbliche forniture, di risultare aggiudicataria del bando per il carcere di Rebibbia. Proseguendo negli anni con una condotta disumana.

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