Non sarebbe uno stupro quello che M. M., zio di Emanuela Orlandi, figlia del messo Vaticano al centro di un caso aperto da 40 anni, avrebbe compiuto ai danni della sorella, Natalina. Quest’ultima ha tenuto a smentire nelle ultime ore le indiscrezioni per cui il parente avrebbe abusato di lei. Dopo anni di indagini, torna ora in auge la pista familiare, per cui lo zio di Emanuela e Natalina sarebbe coinvolto nella scomparsa della 15enne. Di fatto l’uomo però lo è già, anche se per ragioni diverse. Considerando che durante le ricerche si prese la responsabilità di mediare con i giornalisti, i rapitori della ragazza e i mitomani che contattavano la famiglia a qualsiasi ora.
Natalina Orlandi smentisce la violenza sessuale: “Ci furono solo avances verbali”
Si terrà oggi la conferenza stampa dei familiari di Emanuela Orlandi, con al centro le indiscrezioni su un possibile collegamento tra la scomparsa della ragazza e i presunti abusi in famiglia da parte di uno zio. La sorella, Natalina Orlandi, ha tenuto comunque nelle ultime ore a fare delle precisazioni. Non si parlerebbe di uno stupro o violenza sessuale, ma di avances che l’uomo, ormai deceduto, avrebbe rivolto alla ragazza. Pietro Orlandi, a cui pochi giorni fa è stata rivolta un’intimidazione, ha tenuto inoltre a ricordare che la pista familiare non è quella che può permettere una svolta nel caso su sua sorella. “In Vaticano si sta tentando di spostare le responsabilità fuori dall’istituzione”, sottolineando che non sti sta lavorando per arrivare alla verità ma per favorire “una verità di comodo”.
Il “ruolo” dello zio nel caso Emanuela Orlandi
In passato, quando spuntò nell’inchiesta il nome dello zio di Emanuela, e quest’ultimo sostenne che durante la sparizione della nipote si sarebbe trovato sempre a Torano, in provincia di Rieti. Fu lui, per volontà della famiglia Orlandi, a gestire le prime telefonate a casa della vittima con i presunti rapitori di Emanuela. In quei giorni, l’uomo ammise di essersi accorto di essere seguito da un’automobile e si rivolse quindi a Giulio Gangi, agente del Sisde che inizialmente si occupò della scomparsa di Emanuela Orlandi. Gangi scoprì che la vettura che pedinava lo zio di Emanuela aveva la targa coperta, riconducibile a una macchina della squadra mobile. Successivamente, Gangi affermò di essersi pentito di aver dato quell’informazione all’uomo. Ma quando Papa Wojtyla parlò pubblicamente prima di rapimento e poi in privato di pista del terrorismo internazionale, fu abbandonata la pista familiare.