Una sentenza che ha meravigliato tutti, considerato come sono stati tutti assolti gli imputati della casa famiglia di Santa Marinella. Il fatto passo alle cronache nel 2015, anno in cui diverse ragazze che vivevano nella struttura denunciarono abusi sessuali e violenze da parte del proprietario dell’attività e diversi collaboratori e operatori. Per il giudice del Tribunale di Civitavecchia, in quella struttura non avvenne nulla.
Nessun abuso nella casa famiglia di Santa Marinella
La sentenza che scagiona il proprietario della casa famiglia, oltre che operatori e collaboratori della struttura, evidenzia come le ragazze che denunciarono il fatto s’inventarono tutto. Secondo il giudice, infatti, quelle accuse legate a violenze sessuali e botte, furono legate a dissidi interni tra le ragazze, che denunciarono i fatti, e gli stessi gestori della struttura nel Comune di Santa Marinella.
L’inchiesta sulla struttura per minori
Secondo le indagini condotte dal Tribunale di Civitavecchia, la struttura si sarebbe sempre occupata di giovani con difficoltà familiari o con seri problemi psichici. Proprio in questo contesto sarebbero emerse le denunce di Maggio 2015, quando vennero fermati il proprietario della struttura e altre quattro persone attive nella sua attività a vario titolo. Le denunce partirono da alcune ragazze ospiti della casa famiglia, che all’epoca, essendo ancora minorenni, raccontarono i fatti agli assistenti sociali e fecero partire l’inchiesta.
Il giudice non ha creduto alle dichiarazioni delle ragazze
Con una lunga disamina, il giudice del Tribunale di Civitavecchia ha spiegato cosa non lo avrebbe convinto nella versione rilasciata dalle ragazze che hanno denunciato la questione. In merito, racconta come “le dichiarazioni delle ragazze non possono essere sufficienti – scrivono dalle aule di giustizia civitavecchiesi – a fondare la penale responsabilità degli imputati, giudicando che le ragazze, a vario titolo, avevano svariati motivi di opposizione e contrasto nei confronti degli imputati e in generale della struttura comunitaria”.
Prosegue dicendo come “dai forti dissidi con il personale della comunità, tenuto conto che le ragazze avevano difficoltà ad adeguarsi alle regole imposte. Emblematica della linea comune delle ragazze – scrivono ancora dal Tribunale – l’inclinazione a riportare episodi che, sia pur veri, sono stati resi in una prospettiva distorta e funzionale a rendere un’idea specifica della vita della comunità”.
La mancanza di riscontri nelle denunce delle ragazze
Le condizioni, oltretutto, hanno portato a constatare come mancasse un riscontro scientifico nelle denunce effettuate dalle giovani donne. In tal senso, il giudice spiega: “Appurato che, da parte delle accusatrici, la linearità del racconto è senza dubbio mancata in svariati punti e ha trovato penetranti contraddizioni in altri. Le versioni rese, oltre a non trovare alcun riscontro nell’esperienza degli altri ospiti della comunità, sono apparse poco lineari, a tratti prive di logica e non sempre rispondenti. Le giovani parlarono di cibo scaduto somministrato, quando al riguardo nessuna evidenza è emersa sulla presenza di cibo scaduto al momento del sopralluogo effettuato dalla Asl di Roma in occasione del sequestro. Smentito anche lo stato di decadenza della struttura dai numerosi riscontri di persone esterne che periodicamente avevano accesso ai luoghi”.