Non ce l’ha fatta Bambi, il capriolo recuperato ieri mattina in via della Selce poco fuori il centro abitato di Cave, dopo essere stato investito da un’auto di passaggio. E adesso sono in molti a porsi gli inquietanti quanto inevitabili interrogativi: la bestiola poteva essere salvata? E se si fosse trattato di una persona, sarebbe accaduta la stessa cosa?
Certo, la tempistica dell’intervento – oltre dieci ore dal momento del ritrovamento dell’animale, rimasto rannicchiato con le vertebre del bacino rotte per tutto quel tempo in una cunetta – non ha aiutato. E se anche ci fosse stata una minima probabilità per Bambi di restare in vita attraverso un intervento chirurgico mirato, questa è stata vanificata dalla totale mancanza di coordinamento e di mezzi degli operatori intervenuti. L’ennesima dimostrazione che la buona volontà non basta a salvare vite. Sono mancate, come sempre, in sostanza, le sinergie.
Attesa estenuante in posizione scorretta
E se è vero che la sorte del giovane capriolo era già comunque segnata dal fatto che la colonna vertebrale era rotta all’altezza del bacino, il prolungarsi estenuante del tempo dell’attesa in una posizione scorretta ha sicuramente finito per compromettere in maniera definitiva il suo quadro clinico. “Sicuramente esistono realtà che operano in maniera efficace sul territorio di Roma Capitale – ammette Antonello Livi, Vice Coordinatore Provinciale della Kronos e responsabile della Kronos Valle Aniene – dall’altro, però, permangono situazioni di gravi carenza strutturali e funzionali”.
“La legge regionale 34/ 97 all’art. 23 bis fa riferimento ad un numero di emergenza che di fatto non è stato mai attivato”, accusa Livi, che lancia una proposta: “cambiare la procedura e provvedimenti iniqui e insensati come la determina di Zingaretti che vieta addirittura il soccorso della fauna selvatica. Il che equivale a condannare a morte ogni anno decine, centinaia di animali”.
Vittima della burocrazia
“Inoltre – sottolinea Livi – mentre per i randagi è previsto un servizio di accalappiamento attraverso aziende autorizzate al trasporto di animali domestici, lo stesso non avviene per gli animali selvatici per i quali le Asl di appartenenza non dispongono di mezzi adeguati”.
Quindi – ci si chiede – che ha senso continuare a rivolgersi alla Asl per salvare il malcapitato di turno, rischiando di prolungarne l’agonia? “La risposta è contenuta nella domanda”, conclude Livi, indicando nella rapida convocazione di un tavolo tecnico fra le tutte le associazioni presenti sul territorio regionale l’unica risposta possibile alle emergenze che riguardano la fauna selvatica. Come quella di ieri a Cave, che ci costringe oggi a registrare l’ennesima vittima innocente di una ottusa burocrazia.