“Per la prima volta, da quando sono nata, il 12 luglio mi sono goduta un tramonto dal giardino della mia casa. È stato bellissimo”. Continua la nostra inchiesta sul campo rom di Castel Romano. Un viaggio a tappe che vuole mostrare nella sua interezza una realtà che va oltre ogni facciata. Questa volta a è parlare un’adolescente che, per colpa dei fumi tossici che hanno sempre inquinato l’aria e per la paura di ulteriori incendi, prima dell’8 luglio – data in cui sono stati installati i new jersey che hanno regolamentato le entrate al “Villaggio della Serenità” – non era mai riuscita a vedere il sole tramontare dietro la sua casa, a Castel Romano, a 300 metri dall’ormai famigerato campo rom di via Pontina.
“Mi chiamo Federica, ho 16 anni – racconta – Nel 2003 i miei genitori hanno comprato un terreno a Castel Romano, alle porte di Roma, sulla Pontina. Trattandosi di un terreno agricolo, mi dicevano sempre che ‘la terra dà vita’. Dal 2005 in poi questo insegnamento è andato via via scemando, tutto questo è venuto meno perché alcuni soggetti inclini al non rispetto degli altri esseri umani (che per loro natura devono respirare aria pulita) con il loro comportamento hanno causato un enorme inquinamento ambientale all’interno della Riserva naturale di Decima Malafede.
Tutte le strutture e istituzioni preposte a far sì che questo non dovesse accadere hanno avuto un comportamento indifferente, inerte e quindi complice di tale degrado.
Infatti, dal 2005 la zona è stata abbandonata anche dalle forze dell’ordine: i cittadini hanno dovuto segnalare costantemente, giornalmente, il problema per avere un minimo interessamento.
È mio preciso dovere informare gli amministratori che dal 2005 a oggi sono state bruciate più di 1000 macchine: di fatto, quindi, questa più che una riserva naturale nel tempo è diventata una discarica/inceneritore a cielo aperto. Quegli stessi amministratori comunali, provinciali e regionali si riempiono la bocca parlando di ambiente, ma che nei fatti se ne sono sempre fregati di quello che succede qui, come della salute della sottoscritta, della mia famiglia e delle persone che vivono in questa zona. Nella riserva naturale si è respirato diossina quasi tutti i giorni, per 15 anni di fila”.
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4 MORTI DI TUMORE SU 40 PERSONE
E Federica questo lo sa molto bene, perché gli effetti più drammatici li ha vissuti sulla sua pelle.
“Mia mamma, pur vivendo in campagna e nutrendosi di prodotti della terra – forse inquinata dai fumi tossici? – è morta all’età di 56 anni per un cancro. Come lei sono decedute, nel giro di poco tempo, altre 3 persone, qui nel vicinato. E siamo poche famiglie, neanche quaranta persone in tutto. La speranza è che non tocchi a nessun altro. Ogni volta che vedevo i fumi tossici chiedevo a mio padre: ‘Non è che mamma è morta a causa di questo?’. È una domanda a cui non so darmi risposta”.
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L’INFANZIA RUBATA
Che infanzia è stata, quella di Federica? Quella di una ragazzina che non ha mai potuto festeggiare un compleanno facendo una festicciola in casa con gli amichetti di scuola, perché non appena le mamme scoprivano dove abitava, si rifiutavano di mandarci i propri figli. Quella di una bambina cresciuta con la mascherina – la stessa che adesso si porta a causa del Coronavirus, ma che una volta indossavano solo alcune categorie professionali e soltanto per il tempo necessario allo svolgimento del loro lavoro – per difendersi dal fumo dei roghi tossi tossici.
“Ci sono delle foto che testimoniano tutto questo. Una in particolare ritrae me, con un cartello in mano con cui c’era scritto dello schifo che succedeva a Castel Romano, mentre sono con mio padre a Trigoria a protestare per i cumuli di rifiuti che erano stati riversati a ridosso del campo rom. Avevo 3 anni e indossavo la mascherina. La gente ha iniziato a inveire contro mio padre, dicendo ‘lei si deve vergognare, fa portare alla bambina questo cartello in mano’.
Adesso Greta Thunberg, che non solo porta il cartello, ma nemmeno va a scuola, è – giustamente – diventata un’eroina e tutti, politici compresi, che almeno a parole dicono di condividerne le battaglie. Possibile che in Italia ci si occupi della salute dei cittadini e di salvare il pianeta solo quando lo dice qualcuno che viene dall’estero, mentre se le battaglie partono da qui vengono ignorate? Dov’erano questi paladini dell’ambiente quando io, piccolissima, insieme a mio padre giravo per le strade a segnalare un problema concreto a due passi dalla Capitale? Dove erano le istituzioni mentre i miei genitori (e rimarco che mia madre è morta di tumore: un caso?) e gli altri abitanti della zona segnalavano a tutte le autorità – magistratura compresa – gli stessi problemi? Di chi sono le responsabilità dei silenzi in tutti questi anni?”
Domande che esigono risposte. Perché sì, i new jersey messi l’8 luglio davanti al campo rom per controllare gli ingressi e impedire nuovi incendi sono sicuramente una buona soluzione (temporanea), almeno per iniziare, ma non cancellano quello che è stato, a partire dalla ferita inferta all’ambiente.
Ce la mostrano le immagini girate con il drone, ce la racconta Luigi, il papà di Federica, che punta il dito contro il Campidoglio, la sindaca Virginia Raggi e contro tutte le istituzioni a cui negli anni ha presentato le denunce – corredate da foto e video – in cui si dimostrava chiaramente quello che stava accadendo nel campo rom e nell’area limitrofa. Eternit, migliaia di pneumatici, elettrodomestici usati: tutti rifiuti pericolosi e tossici. Bonificare l’area sarà un’impresa titanica, oltre che costosissima. Ma smantellare il “Villaggio della Serenità” non sarà così semplice come qualcuno vorrebbe far sembrare. I rom non se ne andranno se non avranno un’altra sistemazione: dove verranno alloggiate le 544 persone che vi abitano attualmente?