Roberto C. ha 52 anni, vive a Pomezia, di professione fa il Poliziotto ed è in servizio presso il Commissariato di Spinaceto. La sua storia ha fatto il giro d’Italia: tra i primi ad essere contagiato nel Lazio dal Coronavirus, le sue condizioni – in mezzo anche una diagnosi sbagliata ed un ricovero tardivo – sono rapidamente peggiorate tanto da rendere necessario il trasferimento in terapia intensiva. Un incubo durato oltre 40 giorni, poi lo spiraglio in fondo al tunnel con la notizia del suo estubamento, fino all’annuncio liberatorio di ieri dello Spallanzani: «Il poliziotto di Pomezia è clinicamente guarito».
Il racconto di un incubo
Quarantaquattro giorni trascorsi per la quasi totalità senza sapere nulla della sua famiglia, risultata anch’essa positiva al virus. Roberto ha una moglie e due figli che ora stanno bene. Adesso lo attende il percorso di riabilitazione che non sarà facile perché il virus ha messo a dura prova il fisico dell’uomo. «E’ una cosa devastante», ha raccontato al Corriere della Sera. Gli incubi, le allucinazioni, la sensazione di non respirare. Ricordi frammentari e inquietanti del lungo coma farmacologico, ai quali si sommano gli altrettanto dolorosi sintomi del risveglio accompagnato dall’incertezza di non sapere cosa ne fosse stato dei familiari.
«La sensazione di paralisi è stata terribile. Non riesco a camminare bene, i muscoli devono riattivarsi, è una maratona con ostacoli dolorosi», racconta Roberto che non dimentica anche ciò che è stato prima del ricovero, di quei giorni di febbre altissima non valutata per quello che realmente era. «Adesso è tornato l’uomo che tutti conoscevamo», confida la moglie dopo questi giorni terribili. «Ora ha solo voglia di tornare a casa». Roberto ringrazia infine i medici: «Come farò a sdebitarmi con loro per quello che hanno fatto?».