Ostiamare a porte chiuse da ormai da 10 mesi. La squadra, infatti, non può giocare davanti al suo pubblico dall’incontro casalingo con il Cassino del 20 febbraio, a seguito della comunicazione ricevuta dal Comune di Roma relativa alla mancanza della certificazione per l’agibilità per il pubblico rilasciata dalla Commissione di Pubblico Spettacolo per lo stadio Campo Marzio.
Nonostante sia palese che il documento sia falso non per colpa dell’attuale proprietà – si tratta di una certificazione consegnata alla FIGC in data antecedente all’acquisto della società da parte della famiglia Di Paolo, attuale proprietaria dell’Ostia Mare – i tentativi di poter avere una deroga e poter avere nuovamente il pubblico sono finora andati tutti a vuoto. Secondo il Comune di Roma, proprietario dell’impianto dato in concessione, la ragione del diniego – che potrebbe portare a una decadenza della stessa concessione – sarebbe da ricercare negli abusi esistenti nella struttura.
Il contenzioso tra società e Comune
Abbiamo quindi voluto vederci chiaro e ricostruire la vicenda, per capire chi – dopo tutti i “botta e risposta” durati diversi mesi – abbia ragione. Sicuramente, infatti, ricorderete la querelle tra proprietà e l’Assessore allo Sport Alessandro Onorato. Quest’ultimo, sia in Commissione che in sede di consiglio comunale, ha affermato che il Comune ha risposto tempestivamente a Di Paolo, sostenendo che è stata la proprietà a non fare i lavori promessi per mettere in regola l’impianto. Di contro, in una conferenza stampa, ha replicato che sì, il Comune ha risposto, ma non ha mai concesso i permessi per poter iniziare i lavori e per questo l’impianto non è mai stato messo in regola nei termini richiesti dall’Amministrazione capitolina. A fronte di questo, la società ha dovuto continuare a giocare a porte chiuse, smontando le tribune.
I controlli
Ma tutto questo perde improvvisamente significato alla luce di quello che abbiamo scoperto andando a ritroso del tempo. Di Paolo acquista la società sportiva il 28 gennaio 2022. Il giorno stesso arriva la Pec dal Comune di Roma, che informa Di Paolo della mancanza dell’autorizzazione al pubblico spettacolo. Il 3 febbraio si svolge un sopralluogo, per verificare la presenza di irregolarità. Che vengono trovate, perché evidentemente qualcuno le aveva segnalate come tali. Casualmente proprio in concomitanza con la vendita della società, quando il vecchio proprietario, Lardone, aveva già intascato la bellezza di 1.700.000 euro per un impianto che aveva detto fosse regolare.
“Se non lo fosse stato – ci aveva detto in una precedente intervista Di Paolo – il notaio non avrebbe dovuto neanche sottoscrivere l’atto. Io sono sempre stato in buona fede: perché avrei dovuto pagare tutti questi soldi per avere qualcosa che poi non frutta nulla, visto che non posso far entrare gli spettatori e, di conseguenza gli sponsor? Che senso avrebbe? Perché si accaniscono contro di me, che sono vittima di qualcosa di molto più grande che sto cercando di combattere anche io?”
Il colpo di scena
Nel corso del controllo viene rilevato che ci sono degli abusi. Difformità rispetto all’esecuzione di strutture e volumi non presenti nella DIA e sull’esecuzione dei campi di calcio. Sono proprio le tribune e gli spogliatoi che vengono contestati maggiormente. Tutto abusivo, in quanto di cubatura maggiore o diversa rispetto a quanto autorizzato, afferma il Comune. Di Paolo chiede di potersi mettere in regola, presenta come sappiamo un cronoprogramma in 3 anni di demolizione e ripristino dei luoghi, ma non si riesce ad andare avanti. Ma ecco appunto cosa abbiamo scoperto.
Esiste un documento, la DIA prot. 47695 del 29/05/2008, che costituisce il il presupposto per la realizzazione di alcune delle strutture esistenti. Ma non solo: abbiamo trovato anche la domanda di Sanatoria L 47/85, istanza prot. 87/92182/1 relativa al bar, agli uffici e ai servizi, tutti locali che adesso il Comune ritiene abusivi.
Ma durante il sopralluogo dello scorso febbraio non è stato fatto alcun riferimento a questi documenti, che vanno a inficiare i presupposti sulla base dei quali sono stati emessi i provvedimenti di demolizione e sono stati poi intrapresi gli accordi che calendarizzano la rimozione e la demolizione delle strutture. Strutture che, quindi, sono quasi tutte legittime o comunque sanabili, non da demolire.
Il vecchio progetto
Tutto ha origine nel 2006, quando il vecchio concessionario aveva presentato al Comune un progetto (prot. 17201) di totale demolizione e ricostruzione del centro sportivo che prevedeva, tra l’altro, le tribune e gli spogliatoi, oltre a campi di diverse tipologie, e la demolizione e il rifacimento dell’area adibita a bar, uffici e servizi. Dopo ben 5 anni, il 3 agosto 2011, la giunta capitolina, con DGC n.273, approva il progetto definito completo presentato, confermando di fatto l’assentibilità delle opere e la validità dei Nulla Osta nel frattempo rilasciati dagli Enti competenti.
I Nulla Osta erano stati rilasciati grazie all’ottenimento dei pareri favorevoli ottenuti in una serie di conferenze di servizi, ottenendo così tra l’altro le Autorizzazioni Paesaggistiche, l’autorizzazione della Sovrintendenza Archeologica di Ostia, del Municipio XIII (ora X) e del Dipartimento XII, VII LL.PP. IV U.O. – Edilizia. Il progetto aveva ottenuto anche, tra gli altri, il parere favorevole della Sovrintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio. Il 5 aprile del 2007 era stata presentata la DIA (prot. 31687) per il proseguimento dell’attività sportiva, quindi per il rifacimento dei campi, per la recinzione e per gli impianti.
La DIA venne approvata come “Primo stralcio” delle opere richieste. Il 29 maggio 2008 viene presentata una DIA integrativa (protocollo 47695, dopo il rilascio dei Nulla Osta, tra i quali l’Autorizzazione Paesaggistica con nota prot. 2154 del 19/02/2007). È con questo permesso che viene costruito il campo di calcetto: il 4 febbraio 2009, con prot. 11401, viene comunicata la fine dei lavori della DIA e asseverata la conformità di quanto realizzato rispetto a quanto previsto.
Abusivi chi?
Non finisce qui. Il 14 luglio del 2009, attraverso la Determinazione Dirigenziale prot. 1944, il Municipio XIII emette una “Ingiunzione a demolire” relativamente alle opere ritenute all’epoca abusive, con particolare riferimento alle tribune e agli spogliatoi. Ma il concessionario dell’epoca, chiedendo una verifica, riesce a dimostrare che le opere sono regolari e, con la Determinazione Dirigenziale n. 2856 viene emessa l’ordinanza di revoca del precedente provvedimento. Tribuna e spogliatoi, quindi risultano essere regolari e non abusivi o illegittimi.
Oltretutto, rispetto al progetto originale del 2006, sono state realizzate meno opere del previsto, per una cubatura minore rispetto a quanto autorizzato dal Comune stesso. Anche per quanto riguarda le difformità del titolo edilizio (sostituzione dei due campi da calciotto in un campo di calcio a 9) risultano autorizzati con DIA prot. 47695 del 29/5/2008 e precedentemente con DIA prot. 31697 del 05/04/2007. In pratica, nel complesso che ospita lo stadio Anco Marzio ci sono tutti i presupposti per il completamento e il rilascio delle sanatorie delle opere oggi presenti e realizzate. Al contrario, non ci sono opere edilizie che costituiscono abuso grave non sanabile.
Quindi, perché si vuole procedere con la decadenza della concessione? A chi giova questo procedimento? Si vuole rendere la struttura un altro campo fantasma, come tanti campi abbandonati a Roma? Oppure qualcuno ha adocchiato lo stadio e vuole metterci le mani, aspettando solo che Di Paolo molli e vada via, stanco di perdere soldi ogni giorno che passa? Sono domande che sorgono spontanee, perché questo accanimento, subito dopo la compravendita, alla luce di quanto noi de Il Corriere della Città abbiamo scoperto – prima il documento del Comune falso, adesso le autorizzazioni (vere) mai rese note – alimentano dubbi, anche se non si capisce cosa possa esserci dietro. “Mi sento truffato”, ha sempre detto Di Paolo. Ma chi lo abbia fatto cadere in trappola ancora non si sa.