Malasanità a Roma, argomento infinito. Le segnalazioni, infatti, continuano ad arrivare alla nostra redazione. E parlano non solo di ambulanze che arrivano in ritardo in caso di incidenti o di chiamate per soccorso a persona. “Ho chiamato il 118 per mia madre, invalida, che ha avuto un malore. Temevamo un infarto. Dopo 40 minuti ancora non era arrivato nessuno. Per fortuna non si è rivelato essere una cosa grave e mia madre si è ripresa. Visto che non c’erano ambulanze disponibile e per non sottrarle a casi più urgenti, che ho richiamato dicendo che l’avremmo accompagnata noi al pronto soccorso per farla controllare”. A raccontarci l’episodio Sergio, che parla della mamma ultraottantenne. “Ma se mia mamma avesse avuto davvero un infarto, cosa sarebbe successo?”, chiede l’uomo, che oltretutto è disabile.
Ma quello del ritardo delle ambulanze è solo uno dei problemi che si registrano nella sanità del Lazio, dovuti ad anni di tagli delle risorse economiche e a una gestione evidentemente non ottimale degli appalti (anche in questo settore le lobby – basta vedere i recenti arresti della Guardia di Finanza – sono evidenti).
La situazione nei pronto soccorso
Il grido di allarme di oggi arriva dal pronto soccorso dell’ospedale S. Filippo Neri, a Roma nord. Ma quello che si trova in questo nosocomio è solo lo specchio di tutti – o quasi – gli ospedali romani e del Lazio. Triage affollati, pronto soccorso che diventano “reparti”, dove le persone restano per giorni e giorni, in attesa di essere trasferiti nel giusto settore, dove dovranno essere magari operati o sottoposti a particolari cure.
“Sono arrivata qui questa mattina presto – racconta R. – e ho già visto cose assurde. A partire da una povera persona portata via davanti ai miei occhi in posizione orizzontale, dentro una cassa di metallo. Di certo non è incoraggiante per chi sta qui ad aspettare”. E c’è chi aspetta da tre giorni. Si tratta di un’anziana signora, ricoverata per ripetuti svenimenti. Si trova sulla barella da 3 giorni perché deve essere ricoverata, ma in neurologia non c’è posto, quindi è “parcheggiata” al pronto soccorso.
“Aria malsana”
“C’è una puzza incredibile”, prosegue R., “Dicono che gli ambienti sono sanificati, ma se qui si mangia, si fanno anche i bisogni – visto che c’è chi non si può muovere dalla sua barella – in molti non sono potuti lavare o cambiare, perché non si ha uno spazio per le proprie cose e non si sa quanto si resta in questo posto: è ovvio che la sanificazione va a farsi benedire. Senza contare che, ovviamente, per mangiare occorre togliere la mascherina. E qui stiamo praticamente tutti appiccicati. Che ne sappiamo se chi ci sta vicino e un minuto prima ha tossito ha il Covid oppure no? Nonostante tutto, gli infermieri dicono che questo “è oro”, in confronto a quello che si vive al pronto soccorso dell’Umberto I. Evidentemente lì le cose vanno ancora peggio”.
“C’è da dire anche – prosegue la donna – che molti pazienti sono anziani. E non sanno come comunicare con i parenti, che perdono i contatti con loro. Nessuno dà informazioni. E li vedi spaesati, confusi. Qui sembra un reparto di geriatria, ma di 50 anni fa. Ma che fine fanno i soldi destinati alla sanità? Perché ci ritroviamo tutti nel corridoio, ammassati come se fossimo nel terzo mondo?”.
“Non riesco a vedere mia madre”
E se questa è la situazione vista “da dentro”, di certo non sta meglio chi aspetta fuori. “Mia mamma è stata ricoverata al pronto soccorso del Campus Biomedico per due giorni e di lei ho perso le tracce”, ci racconta Francesca. “Non me la facevano né vedere né sentire. Lei soffre di demenza e non è in grado di fare nulla da sola ed è rimasta per 48 ore su una barella al ps. Solo dopo due giorni di mie rimostranze un medico mi ha dato notizie, ma non me l’hanno fatta vedere. Ho vissuto una situazione disperata, con mio padre invalido e mia madre in ospedale, senza avere notizie e senza poterla vedere, né poterci parlare. Praticamente era come se fosse sparita nel nulla, come se non esistesse. E immagino anche la sua, di disperazione, nel non vedere nessuno accanto a lei per giorni interi”.
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