Un intreccio tra mafia, commercio, politica. “A Torvaianica comandiamo noi”. I Fragalà. E per farlo bisognava avere le spalle coperte.
“Qua se c’è qualcuno che comanda sono i Fragalà e basta. A Torvajanica abbiamo sempre comandato noi. La prossima volta che rientra qua, ti faccio uscire con i piedi davanti. E vai a dirlo a Sebastiano“. Questa è solo una delle conversazioni intercettate a Ignazio Fragalà. Risale a febbraio del 2016 e “Sebastiano” è un pezzo grosso a cui Fragalà lancia un avvertimento.
Del resto, i Fragalà hanno dalla loro parte niente meno che zio Ciccio, reggente di Palermo. “È lui quello che oggi rappresenta la mafia qua… qua a Roma”, dicono due affiliati al clan Fragalà in un’altra intercettazione. Zio Ciccio è Francesco D’Agati, le cui condotte “hanno una radice comune nell’influenza e nel prestigio mafioso derivanti dalla sua riconosciuta appartenenza a Cosa Nostra, grazie anche ai rapporti tessuti nel tempo con esponenti di spicco delle varie organizzazioni mafiose”, come si legge nel rapporto degli inquirenti.
Ma D’Agati non era l’unico tipo poco raccomandabile. Alessandro Fragalà non era da meno, visto che si dichiarava pronto ad uccidere chiunque, persino suo padre o suo figlio. “Quando mi sento tradito da qualcuno, che potrebbe anche essere mio padre o mio figlio, gli sparo. Che ammazzeresti tuo figlio? Sì sì, perché no, Se mio figlio cammina con me, facciamo il reato insieme e mi tradisce, io lo ammazzo“, ha detto in una conversazione registrata in una intercettazione dei carabinieri.
Le indagini sono durate due anni e hanno appurato, anche grazie ai racconti di Sante Fragalà, diventato collaboratore di giustizia, come la famiglia avesse il controllo del territorio sotto vari aspetti, a partire da quello “commerciale”, con estorsioni, minacce, ma anche nel senso che tenevano sotto scacco le attività decidendo chi poteva aprire e chi no. Chi non era gradito riceveva
“Io ti do un consiglio e cerca di ascoltare, non aprire, è meglio per te”.
“Noialtri siamo per la pace, ma la guerra comunque non è che ci dispiace”.
E guerra è stata: chi impunemente apriva nonostante i “consigli”, poi si ritrovava il locale bruciato. Questa sorte è toccata a due pizzerie.
I collegamenti con la politica sono stati fatti in maniera certosina, utilizzando una delle donne del clan, Astrid Fragalà, figlia di Alessandro, prima titolare di un panificio nella piazza centrale, poi presidente della Confcommercio Pomezia e Litorale sud e legata in questo modo alle attività del territorio e alle associazioni di rilancio turistico. In questa veste aveva la possibilità di giustificare i contatti con il mondo politico e l’amicizia con alcuni esponenti politici in particolare già da diversi anni.
Ora le intercettazioni indicano il nome di Omero Schiumarini, anche se il consigliere di opposizione non risulta formalmente indagato.
Un’altra tegola per l’ex esponente di centrodestra, ora PD, in passato coinvolto nella tangentopoli pometina.
Pomezia e Torvaianica si confermano un territorio “fertile” per quanto riguarda le infiltrazioni mafiose, con un tessuto che si intreccia con la vicina Ostia e i clan Fasciani e Spada, dove non ci sono guerre ma spartizioni e alleanze. Uno scenario di cui vediamo solo parte più superficiale e che già così mette paura. Chissà cosa ci sarà se davvero si riuscirà a togliere il coperchio…