Dopo sei mesi da quando questo giornale ne ha dato notizia in esclusiva, è finalmente pronto lo schema di Protocollo d’Intesa Regione Lazio-Campidoglio-Città Metropolitana di Roma per la gestione dell’emergenza cinghiali nella Capitale. Superato lo stallo burocratico, i romani, che erano ormai disillusi visto che il problema persiste da anni, intravedono così una soluzione. Questa, però, passerà per l’eliminazione di gran parte degli animali.
Lo schema è stato approvato dalla giunta regionale di Nicola Zingaretti lo scorso 15 gennaio (è la delibera n.9) e prevede una ripartizione dei compiti tra i tre enti coinvolti. In allegato, poi, c’è un protocollo tecnico redatto da Ispra (Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale) e una bozza di procedura operativa. La durata di tutto il pacchetto di interventi è triennale, ma sono possibili proroghe.
COSA PREVEDE
Con questo protocollo, innanzitutto, la Regione Lazio si impegna ad approvare e predisporre nuovi piani di contenimento dei cinghiali nelle riserve naturali di Roma, da cui questi animali provengono. Un dettaglio non da poco visto che le riserve di Decima Malafede e della Marcigliana ne hanno uno a testa da anni, ma con effetti prodotti solo nel 2018 (con appena 100 catture totali) e la Riserva dell’Insugherata non ne ha mai avuto uno.
Ma per risolvere l’emergenza contingente la soluzione scelta è un mix di “metodi ecologici” non invasivi e “interventi di controllo diretto”, che per essere applicati richiederanno lo spostamento di competenze sulla fauna selvatica dalla Regione alla Città Metropolitana.
I primi sono azioni di prevenzione e limitazione dei danni, come: intensificazione della pulizia di vie e cassonetti limitrofi agli insediamenti (sono i rifiuti ad attirare i cinghiali in città), appositi cartelloni stradali d’avvertenza, recinzioni là dove è possibile, inasprimento delle sanzioni per chi dà del cibo agli ungulati, iniziative di educazione dei cittadini.
I secondi sono interventi di cattura e abbattimento, in diverse forme. Prima di tutto teleanestesia (lancio di narcotizzante), cattura in gabbia o sparo con arma da fuoco. Poi, nei primi due casi, è prevista l’eutanasia (l’uccisione sul posto probabilmente tramite sostanza mortale) o il trasferimento in: una struttura regionale (da trovare entro giugno di quest’anno), allevamenti a scopo alimentare, istituti faunistici dove si pratica la caccia o direttamente al macello.
Tra questi, come è evidente, solo la struttura regionale potrebbe assicurare la sopravvivenza degli animali catturati.
A realizzare gli “interventi diretti” sarà la Polizia della Città Metropolitana (tra i cui compiti rientra la tutela ambientale) con la collaborazione della Asl competente e l’eventuale supporto di guardaparchi regionali, vigili urbani e altre forze dell’Ordine.
Secondo il Protocollo questi interventi non sono “in alcun modo una forma di caccia” perché “possono essere realizzati in tempi, orari e con modalità diversi da quelli ordinariamente consentiti dalla normativa per l’attività venatoria”.
COME FUNZIONANO GLI “INTERVENTI DIRETTI”
Il Comune di Roma, tramite una mail ed un numero di telefono dedicati, raccoglierà le segnalazioni. A quel punto sarà disposto un sopralluogo per valutare il singolo intervento, quindi sarà convocato un tavolo operativo. Solo allora si stabilirà come intervenire tra le diverse forme previste, secondo la bozza di procedura operativa che qui vi riportiamo.
IL COSTO, LA FIRMA E LE POLEMICHE
Ogni ente coinvolto nel Protocollo avrà una spesa diversa per le operazioni previste. Per la Regione Lazio è previsto un esborso di 100.000 euro nel solo 2019.
Ora per la ratifica finale manca la firma del presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti e poi, se saranno d’accordo, di Virginia Raggi in qualità di sindaco della Città Metropolitana e del Vice Sindaco del Comune di Roma Luca Bergamo, in rappresentanza del Campidoglio. Solo a quel punto il documento sarà operativo.
Intanto, però, sono arrivate in massa le proteste dei gruppi ambientalisti, primo tra tutti “Ambientalisti italiani”. Le associazioni ritengono che si siano scelti metodi crudeli che rischiano di non risolvere il problema e si appellano alla Raggi affinché non firmi il documento. Infatti sostengono che l’uccisione in massa aumenti la fertilità degli animali come meccanismo di compensazione, soprattutto durante la stagione riproduttiva in corso. Per formulare questa tesi si rifanno all’articolo “Wild boar populations up, numbers of hunters down? A review and implications for Europe”, pubblicato nel 2015 sulla rivista scientifica Pest Management Science e firmato da diversi autori (tra cui Giovanna Massei, ecologa che lavora a York). L’articolo evidenzia che la pressione venatoria negli ultimi anni ha fatto aumentare il numero di cinghiali in Europa.
In ogni caso con la messa in pratica del Protocollo è auspicabile il non ripresentarsi di diversi episodi sgradevoli avvenuti negli scorsi mesi, come gli spari non autorizzati in mezzo alla città.