Dopo due settimane di accertamenti da parte degli inquirenti, questa mattina è arrivata un’ordinanza per l’abitazione ad Ardea, nel quartiere della Nuova Florida, diventata praticamente una RSA, ma senza averne i permessi. Nel villino vivevano una quindicina di anziani, una donna straniera, reduce da una malattia infettiva, e sua figlia di 16 anni. Da quanto emerso nel blitz effettuato lo scorso 18 gennaio i carabinieri dei NAS, gli agenti della polizia di stato, della Polizia Locale di Ardea e gli ispettori della Asl Rm 6, gli ospiti della casa convivevano in un contesto di certo non adatto a persone fragili e malate.
Una struttura fatiscente, con stanze invase dalla muffa ed escrementi di topo, dove gli agenti intervenuti avevano trovato sacchi con abiti sporchi e pannoloni. Inoltre, nella parte esterna, era stato trovato accatasto vario materiale di risulta, oltre a rifiuti ingombranti, bombole di ossigeno, carrelli della spesa, copertoni di auto, e parti di mobili.
Morto 72enne: era stato trovato in condizioni pessime
Ma la cosa peggiore è che, durante il blitz, alcuni degli anziani sono stati trovati in condizioni di salute precarie. Uno di loro addirittura disperate, tanto che ne era stato disposto l’immediato ricovero in ospedale, in codice rosso. Ma per l’uomo, un 72enne, nonostante i tentativi dei medici, non c’è stato nulla da fare. Venerdì 27 gennaio è morto. La salma dell’uomo è stata messa a a disposizione della Magistratura ed è stata deciso di effettuare l’autopsia per stabilire se le cause della morte possano essere legate alle condizioni in cui versava all’interno della struttura.
L’uomo, rimasto vedovo circa un anno fa, percepiva una pensione di circa 2.000 euro al mese. Non aveva altri parenti stretti e, per non restare da solo, era andato ad abitare in quella che doveva essere una co-housing, insieme ad altri anziani, dove sarebbe stato in compagnia, accudito e magari anche curato, visto che la sua pensione abbastanza elevata gli avrebbe dovuto consentire un tenore di vita quantomeno decente. Ma le cose sono andate diversamente e adesso sarà la Magistratura a dover far chiarezza e a stabilire eventuali responsabilità, qualora ce ne siano.
L’ordinanza
Intanto questa mattina il sindaco di Ardea Fabrizio Cremonini ha firmato l’ordinanza n. 321/2023 per quella casa, dove, dopo il blitz, erano rimasti 8 anziani più la donna con la figlia. Con l’ordinanza di oggi è stato disposto il ripristino dei luoghi allo stato originale, ma bisogna anche sanare gli abusi esistenti in quella casa, dove vivevano più persone di quante ce ne sarebbero potute effettivamente stare, mantenendo standard di spazio vitale adeguati. Bisognerà riportare tutto com’era e ripristinare le condizioni igienico sanitarie. Per farlo c’è tempo 8 giorni, poi, una volta scaduto il termine, se non è stato riportato tutto come da ordinanza, le persone all’interno dovranno andare via e trovare un’altra sistemazione. Quell’immobile, d’altra parte, può essere occupato solo dal numero di persone previsto e non certo da più ‘clienti’.
I precedenti
La gestione del villino è riconducibile a una persona del territorio, che da anni fa della legalità la sua bandiera e che nella zona, già in passato, aveva gestito un altro immobile in co-housing, in via delle Idrovore, all’angolo con via Monselice, per la quale pende una causa intentata dal proprietario dell’immobile. “Ho intimato lo sfratto perché non veniva pagato l’affitto – ci ha rivelato in questi giorni l’uomo – Eppure lì dentro per un periodo c’è stata anche mia sorella, che in precedenza stava in una casa di riposo. Ma soffriva di Alzheimer e dopo un po’ sono stato costretto a portarla via e a farla ricoverare. Quello che le racconto è tutto pubblico, basta fare una ricerca o andare al Comune. Il sindaco all’epoca era Di Fiori, che fece un’ordinanza che portò allo sfratto”. All’epoca, parliamo del 2017, gli anziani andarono persino in tv per non essere sfrattati. Ma non conoscevano i retroscena. Non sapevano che il denaro che loro versavano per la co-housing non veniva destinato per il pagamento dell’affitto.
All’epoca, la stessa persona riferiva: “Queste persone, singolarmente non ce la facevano nemmeno a fare pasti regolari, perché non avevano denaro a sufficienza. Attraverso l’istituzione delle co-housing, elemento giuridico ancora sconosciuto in Italia, ma perfettamente funzionante altrove, era stato trovato il modo di unire le loro forze: mettendo una quota a testa, di gran lunga inferiore a quanto si paga nelle classiche case di riposo, avevano trovato il modo non solo di far bastare la loro misera pensione, ma di riuscire a mettere qualcosa da parte. Il tutto stando in compagnia, seppur mantenendo ognuno la loro autonomia. Avevano poi delle badanti, gestite da una cooperativa, che li accudivano al meglio”.
Ardea, scoperta casa degli orrori: RSA abusiva con anziani tra escrementi di topi