Da giorni non si fa altro che parlare di Walter Biot, l’ufficiale militare italiano, che da anni viveva a Pomezia, arrestato con l’accusa di spionaggio il 30 marzo scorso. Biot, Capitano di fregata in servizio all’ufficio Politica Militare dello Stato maggiore della Difesa, è accusato di rivelazione di segreti militari, a scopo di spionaggio e procacciamento di notizie segrete a scopo di spionaggio: reati punibili con almeno vent’anni di reclusione o, nei peggiori dei casi, con l’ergastolo. Una vicenda intrinsecata che ha portato all’arresto di Biot, ma anche di un ufficiale delle forze armate russe.
Leggi anche: Chi è il pometino Walter Biot
L’arresto di Biot
Biot e l’ufficiale russo sono stati scoperti durante un appuntamento per un incontro clandestino. L’ufficiale italiano passava al collega straniero documenti “classificati”, ricevendo in cambio 5 mila euro, denaro posto sotto sequestro dai carabinieri che sono intervenuti proprio al momento del losco scambio. I militari hanno condotto le indagini con la collaborazione dell’Aisi, l’intelligence interna, e dello Stato Maggiore della Difesa. Da quanto trapela, Biot avrebbe ceduto i documenti esclusivamente per denaro, in quanto da qualche tempo la sua situazione economica non era delle migliori. La figlia di Biot sarebbe gravemente malata e quel denaro (nonostante il suo stipendio che si aggirava intorno ai 3.000 euro al mese) sarebbe servito per curarla: “Avevo dei debiti, ma non ho mai messo a rischio la sicurezza dello Stato. Non ho venduto documenti importanti”: queste le parole che secondo Il Messaggero avrebbe detto l’ufficiale al suo avvocato.
Biot avrebbe venduto i documenti solo per il bene della propria famiglia. A pensarla così anche la moglie e il figlio più grande che a Repubblica ha spiegato: ‘Se mio padre ha fatto quello che ha fatto lo ha fatto per mantenere la famiglia, non per andare contro lo Stato”. E anche la moglie prova a difenderlo: “Mio marito non voleva fottere il Paese, scusate la parola forte”, ha dichiarato al Corriere della Sera. “E non l’ha fatto neanche questa volta, ve l’assicuro, ai russi ha dato il minimo che poteva dare. Niente di così compromettente”.
Il video che incastra Biot
Secondo l’accusa, l’ufficiale avrebbe fotografato i documenti riservati dal monitor del suo computer e li avrebbe scaricati su una chiavetta, che avrebbe poi consegnato all’ufficiale russo. Ma c’è un video che, come spiega Il Messaggero, avrebbe colto in flagrante l’ufficiale: una microcamera, nel suo ufficio Politica militare e Programmazione dello Stato Maggiore della Difesa, avrebbe ripreso Walter Biot intento a fotografare 181 documenti classificati con il suo telefono. Al vaglio i cellulari sequestrati a Pomezia, ma ora come spiega il quotidiano romano resta da capire se – oltre a Biot – ci siano altri ufficiali infedeli che avrebbe venduto documenti segreti in cambio di denaro. Intanto, il gip di Roma questa mattina ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere.