Una storia davvero struggente quella di una 47enne di origine albanese, ma residente da oltre 30 anni in Italia. Di lei non si conosce il nome. Purtroppo però si conoscono le molte cicatrici della sua vita. Vita a cui ha voluto porre tragicamente fine lo scorso sabato 6 novembre. La donna era arrivata in Italia all’età di 17 anni, purtroppo non per sua scelta. Era stata rapita dalla sua famiglia, picchiata e costretta a prostituirsi da una banda di suoi connazionali.
Stufa dei maltrattamenti, degli abusi e della vita da prostituta prigioniera, aveva trovato il coraggio di ribellarsi e denunciare i suoi aguzzini. La sua tenacia aveva portato all’identificazione e all’arresto di 40 albanesi accusati di sfruttamento della prostituzione e maltrattamenti.
Dopo la liberazione dalla “schiavitù” della prostituzione, la donna da circa 3 anni stava affrontando un’altra durissima battaglia. Aveva scoperto di avere un tumore al seno molto aggressivo. Per questo negli ultimi anni aveva girato l’Italia da nord a sud, di ospedale in ospedale, fino a giungere al Santo Spirito di Roma. Lì le avevano dato poche speranze e massimo 5 anni di vita. Purtroppo però lei ha deciso di non lottare più e di togliersi la vita lanciandosi nel vuoto da Ponte Garibaldi, a Roma.
La 47enne nella sua vita fatta di battaglie aveva dovuto combattere anche con lo Stato Italiano e quello Albanese, dato che entrambi le avevano negato la nazionalità. Anche la sua famiglia le aveva voltato le spalle dopo gli abusi subiti dai suoi aguzzini, nonostante lei fosse solo una vittima innocente. I suoi unici amici sono stati gli agenti delle forze dell’ordine.
“I carabinieri del Nucleo radiomobile sono la mia carta vincente – aveva raccontato la donna in una vecchia intervista –. I miei genitori nel momento in cui sono stata rapita ho fatto arrestare gli sfruttatori, mi hanno cancellata e i carabinieri mi hanno adottata. Mi sono aggrappata a loro come una bambina. Quando ho avuto un attimo di sconforto e ho pensato di compiere un gesto estremo, sono arrivati di corsa e mi hanno salvato la vita”.
Negli anni passati la donna aveva scritto anche al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e poi a Sergio Mattarella, implorando un intervento per farla “diventare italiana prima di morire”. “Nel 2000. Ho fatto il battesimo, la comunione. Perché io non ero niente prima. Nell’animo sono una cittadina italiana, ma per i documenti sono un fantasma. Il Presidente mi ha scritto quando mi sono operata quando ero in ospedale. Mi hanno rinnovato il permesso di soggiorno di tipo umanitario. La sopravvivenza è al massimo 5 anni di quel tumore che ho io e il tempo che rimane da vivere voglio viverlo come cittadina degna di questo paese”.
La sua vita piena di battaglie
La donna ha raccontato la sua vita per un film “corto” che ha anche partecipato a un festival internazionale di cinematografia.
Ecco la sua storia straziante: “Tutto quanto è cominciato con un sequestro in Albania. Io avevo 17 anni circa, stavo camminando vicino a casa mia e mi ha avvicinato una macchina e mi hanno portato in un bunker. Lì hanno cominciato a violentarmi in gruppo e picchiarmi. Non avevo mai avuto un rapporto con un uomo. Da lì è cominciato il mio inferno. In effetti, chi viene violentata e destinata alla prostituzione vive in un inferno. Prima di questo ero una ragazza tranquilla che veniva da una famiglia normale, povera ma normale. Andavo a scuola, andavo in piscina e c’era proprio la squadra di nuoto dove io andavo perché ero bravissima, ero molto veloce a nuotare”.
“I miei genitori quando mi sono perduta poi mi hanno cancellata come figlia perché secondo loro io avevo disonorato la loro razza. Mi hanno semplicemente cancellata. Però, ogni tanto mi dico che forse l’hanno fatto per tutelarsi. Avevano altri figli. Non ho nessun contatto con loro. Ormai per me i fratelli e le sorelle non sono quelli del sangue, ma sono quelli che mi stanno vicino”.
“Sono arrivata in Italia in gommone con un gruppo di ragazze, perché lì c’erano tantissime ragazze sul gommone e pure in quella casa dove stavo io, perché da quel bunker mi hanno portato in una casa. Da li poi in campeggio, dal campeggio al gommone, dal gommone in Italia. Era l’anno 1995 o 1996 se faccio il conto. Dopo, una volta giunta l’Italia era veramente infernale”.
“Sono stati 4 anni di inferno. Poi mi sono ribellata. I poliziotti venivano tutti i giorni a chiedere se potevano aiutare. L’hanno fatto per mesi, non mi sono fidata subito, e alla fine poi mi sono fidata di loro. Furono denunciate 80 persone italiane, arrestate 40 persone di origine albanese e condannate dai 15 ai 20 anni di carcere. Io mi sono impegnata ad aiutare le altre donne. Abbiamo anche denunciato gli italiani. Con articolo 18 ero sotto protezione. Mi hanno messo in un posto nascosto per tanto tempo. Poi c’è stato il processo dove io ho riconosciuto tutti. La prostituzione non è una libera scelta. O è una mancanza di opportunità e ci sono tante donne… Noi abbiamo la schiavitù in Italia però ci sono quelle poche che non hanno alternative. Quella non possiamo chiamarla libera scelta”.