Il grave problema dell’erosione della linea di costa torna d’attualità, come ogni anno con l’approssimarsi della stagione estiva, anche a Torvaianica. Molto si dice sugli effetti di tale fenomeno, del resto è l’elemento più visibile, ma lo stesso non si può dire per ciò che riguarda le cause. Cause che, se fossero state indagate adeguatamente, avrebbero fatto facilmente comprendere che tale fenomeno è ormai irreversibile. Non voglio essere il catastrofista di turno, ma mi sono limitato a leggere rilevanze geografiche, geologiche, storiche, monumentali, letterarie. Ritengo che pochi lo abbiano fatto, altrimenti alcune delle cure, che si sono rivelate essere peggiori della malattia, non sarebbero state prese. Ma andiamo con ordine, sempre che abbiate il desiderio di leggere e seguire queste mie righe.
Le Rilevanze geografiche e geologiche
La nostra regione è situata al centro dello stivale della penisola italiana; ha una forma rettangolare con un cuneo, posto all’incirca a metà del lato a monte, che si insinua fra Umbria, Marche e Abruzzo, retaggio di una risistemazione amministrativa dell’epoca fascista. Il lato superiore del rettangolo è una fascia montagnosa, parte della dorsale appenninica; la fascia centrale è prevalentemente collinare; il lato inferiore pianeggiante e lungo esso si stende la fascia costiera dalla bassa maremma fino alla foce del Garigliano al confine con la Campania. La fascia costiera, sin dal tempo dei tempi, era caratterizzata da una duna che si estendeva dalla foce del Fiora (Montalto di Castro) fino al promontorio di Gaeta. La duna era interrotta da alcuni rilievi costieri: i Monti della Tolfa a Civitavecchia, il modesto Capo d’Anzio, i Monti Aurunci a ridosso di Gaeta, Monte Orlando a Terracina. Elementi questi che tornerò a trattare parlando della portualità del Lazio. La fascia retrodunale era generalmente acquitrinosa, circostanza questa che la rendeva scarsamente popolata e obbligava i pellegrini romei a seguire l’itinerario della Via Cassia per raggiungere la loro agognata meta: Roma. Gli acquitrini furono poi o colmati da inerti o bonificati. Dalle fasce montagnose e collinari, scendono alcuni corsi d’acqua con andamento perpendicolare alla linea di costa. Da nord verso sud i fiumi sono i seguenti: il Fiora che nasce nel versante grossetano del Monte Amiata; il fiume Marta, emissario del lago di Bolsena; il fiume Arrone, emissario del lago di Bracciano; il fiume Tevere che nasce dalle pendici del Monte Fumaiolo nell’Appennino tosco-emiliano. Nel suo corso riceve numerosi affluenti, per lo più da sinistra (il principale l’Aniene), cioè discendenti dalla fascia montana tal da costituire uno dei maggiori bacini idrografici italiani. L’antico toponimo del fiume era Albula dal colore delle sue bionde acque; elemento anche questo utile all’economia del discorso. Il fiume Incastro (la cui foce qualcuno vorrebbe scelleratamente portualizzare), emissario del Lago di Nemi e displuvio dei Colli Albani ; il fiume Astura, displuvio dei Monti Lepini; il fiume Garigliano, formato dai corsi del Sacco e del Liri. Tutti questi corsi d’acqua trasportano inerti al mare.L’assenza di vegetazione dunale non trattiene la sabbia e acentua il fenomeno erosivo.
Le Rilevanze storiche
L’antica Roma, alla fine delle guerre puniche diventa una potenza marinara oltre che terragna. Ma il porto d’Anzio, in territorio volsco e distante dall’urbe, e il porto di Ostia lungo il braccio naturale del Tevere, presto si rivelano largamente insufficienti alle necessità economico-militari, il secondo anche a causa dell’innalzamento dei fondali causati dall’apporto di inerti. L’imperatore Claudio, pertanto, dette l’avvio nel 42 d.c. ai lavori di costruzione di un nuovo porto a circa 2,5 miglia a nord della foce del Tevere; la costruzione del porto fu terminato nel 64 d.c. sotto l’imperatore Nerone. Il bacino venne scavato in parte sulla terraferma e occupava una superfice di 150 ettari. Ben presto vennero a galla dei peccati originali( scarsa sicurezza e progressivo insabbiamento) tanto da indurre dopo circa 40 anni l’imperatore Traiano a dare il via alla costruzione di un nuovo bacino più interno. Fu tra l’altro realizzato un nuovo canale scolmatore verso il mare, che dette così origine all’Isola Sacra. Ai nostri giorni ambedue le infrastrutture sono interrate e ben lontane dalla linea di costa. Ma a cosa si deve l’interramento? Dobbiamo tornare alle rilevanze geografiche e geologiche. I fiumi che discendevano dalla fascia montagnosa-collinare, con le loro acque trasportavano notevoli quantità di sabbie ( gialle come l’antico toponimo del Tevere) e ghiaie. Tutto ciò comportava l’avanzamento della linea di costa e il continuo ripascimento naturale del sistema dunale costiero. Questo fenomeno durò per secoli e secoli; una mirabile descrizione della fascia dunale, almeno quella prossima a Roma, è contenuta nella monumentale opera di Antonio Nibby pubblicata nel 1837: Dintorni di Roma, opera presente nel fondo storico della biblioteca pometina, non catalogata, almeno fino a poco tempo fa. Per comprendere facilmente la dimensione dell’avanzamento della linea di costa è sufficiente cliccare su internet e richiamare alcune immagini. La più significativa si trova all’interno del Museo Archeologico della Tenuta Presidenziale di Castelporziano: una stampa che riproduce la foce del Tevere, il suo progressivo avanzamento, una fascia blu che, più marcata alla foce, si estende a nord fino a Ladispoli e a sud fino a oltre Torvaianica.
Le rilevanze monumentali
A lungo le incursioni saracene sono state un serio problema, ne ha patito anche il nostro territorio. Numerose torri d’avvistamento furono edificate sia sulla fascia costiera che in quella immediatamente retrostante. Prendiamo in considerazione quelle lungo il Tevere e nei pressi della sua foce: Castello di Giulio II a Ostia Antica; dopo una disastrosa alluvione del Tevere, nella seconda parte del 16° secolo, il fiume deviò il suo percorso assumendo un andamento rettilineo eliminando l’ansa che descriveva sotto il Castello stesso. La necessità di avere punti di avvistamento nei pressi della foce, portò al riutilizzo di un antico manufatto romano per la realizzazione di Tor Boacciana al ponte della Scafa. Successivamente venne realizzata (1568) Tor San Michele, progettata da Michelangelo Buonarroti è tuttora visibile alle spalle del moderno porto di Ostia (altro punctum dolens, e non solo questo, del nostro discorso). Tutti questi monumenti sono sulla stessa verticale e hanno accompagnato il progressivo avanzamento della foce.
Le rilevanze trattate sinora servono a dimostrare che per secoli e secoli si dovette fronteggiare il problema opposto a quello che si verifica oggi: l’interramento anziché l’erosione.
Ma quando inizia il fenomeno inverso, in maniera silentemente strisciante, non destando inizialmente particolari attenzioni? Fra la fine degli anni cinquanta e l’inizio degli anni sessanta vengono realizzate sul Tevere una serie di dighe a scopi idroelettrici e non solo Diga del Lago di Corbara, diga di Alviano, diga di Ponte San Felice, diga di Castel Giubileo e ultima nata la Diga di Montedoglio per l’approvvigionamento idrico di Arezzo. Tutti questi sbarramenti, unitamente agli enormi prelievi nel letto del fiume di sabbie e ghiaie a fini edilizi, azzerano o quasi l’apporto di inerti verso il mare.La duna viene resa ancor più fragile da una sconsiderata antropizzazione e cementificazione (Torvaianica docet). Ultima mazzata lungo una costa indebolita, si da il via alla portualità. Nella nostra regione solo due, inizialmente erano tre, sono i porti sono in armonia con la geomorfologia del territorio: Civitavecchia, dove i Monti della Tolfa si gettano a mare; Gaeta dove si gettano a mare i retrostanti Monti Aurunci, garanzie queste di adeguato pescaggio per le imbarcazioni.. Il terzo porto era quello di Anzio, costruito da Nerone in posizione opposta a quello di Innocenzo XII del 1698, soggetti a consistenti minsabbiamenti che tuttora persistono contrariamente a quello neroniano. Tutti gli altri realizzati hanno modificato il gioco delle correnti e contribuito a rendere ancor più fragile la costa.
Porto di Riva di Traiano, immediatamente a sud di Civitavecchia ha contribuito all’erosione del litorale di Ladispoli; Porto di Roma al Lido di Ostia con conseguente negativo contributo al Lido di Ponente di Ostia; porto di Nettuno con sparizione della spiaggia; Porto di San Felice Circeo con effetti negativi al litorale di Terracina (qui sono chiamati in causa anche gli sbarramenti paralleli alla spiaggia). Quasi non bastassero questi continui insulti se ne sono progettati degli altri: il nuovo porto di Fiumicino ed il nuovo molo del porto di Anzio, che pregiudicherà ulteriormente la tenuta della già provata duna costiera di Sabaudia arretrata in più punti. Quando l’allarme si fece evidente si tentò di correre ai ripari. Mai la medicina fu più dannosa della malattia! Si dette il via a costosi ripascimenti con sabbie prelevate al largo, con sommo gaudio delle casse degli operatori e danno di quelle pubbliche. Attualmente le sabbie della duna, non più trattenute dalla vegetazione, sotto l’azione dello spirare dei venti invadono le carreggiate delle strade, particolarmete a Torvaianica, con relativi conseguenti problemi. Una rivegetazione si impone anche se, fatto ormai il danno per le ragioni summenzionate nel testo, ciò serve al mantenimento di un simulacro di quello che fu. L’Istituto del Mare del CNR di Bologna, sotto la guida del Dr. Marabini, al termine di adeguate indagini geografiche, geologiche, idriche, propone in altri luoghi delle dighe soffolte (sotto il pelo dell’acqua) per attenuare l’effetto delle onde e delle correnti. Basterà al nostro caso? L’assenza di praterie di posidonia gioca un suo ruolo?
Intanto vien da fare quest’amara riflessione: la sete di guadagno di pochi, l’inciviltà di molti, la miopia di tanti ha fatto sì che la miniera d’oro di Torvaianica si inaridisse.
Valentino Valentini