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Torvaianica, Ardea, Nuova Florida: ecco come i clan mafiosi hanno conquistato il litorale a sud di Roma

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“Lì è più facile stabilirsi come cosca, c’è meno rischio che ti riconoscano l’associazione mafiosa”. A parlare è il mafioso siciliano. Si parla di controllo del territorio e della convinzione – rimasta fino a non troppo tempo fa – che a Roma, specie sulla costa, è più difficile essere accusati di mafia.

La storia racconta di come le famiglie del sud arrivarono sulle nostre coste e lo spunto lo dà L’Espresso partendo dal pentimento, e dalle sue successive confessioni, di Sante Fragalà, fratello di Salvatore, che già viveva a Torvaianica, arrivato da Catania. 

“Salvatore Fragalà ha alle spalle una lunga carriera criminale”, si legge nell’articolo sul L’Espresso. “A 17 anni ha ucciso un coetaneo con un fucile da caccia perché sospettava parlasse con la polizia. Poi, una vita tra violenze e intimidazioni”. 

Ma oggi a tradirlo – violando così il patto “d’infamità” tanto caro alle cosche – è proprio suo fratello, Sante come dicevamo, che sta scontando 26 anni e ha deciso di raccontare tutto al Pubblico Ministero.

“Mio fratello e mio cugino (tale Vincenzo D’Angelo che condivise col Fragalà diverse ‘iniziative’ compresa qualche spedizione punitiva) sono affiliati ai Santapaola di Catania. Ho iniziato con i miei zii che sono arrivati dalla Sicilia. Uno di loro, Piero Cantella, mi dava da portare la droga”.

Nomi, cognomi, fatti: tutto ben preciso, come riportato da L’espresso. “La testimonianza di Sante Fragalà – riprende l’articolo – svela così le dinamiche dell’invasione alle porte della Capitale, che ha origini lontane: già nel lontano 1991 Cantella incendiò la caserma dei carabinieri di Torvaianica e per uccidere un maresciallo incaricò il nipote Sante, poco più che adolescente, di andare a prendere un fucile di precisione. Di Piero Cantella si persero le tracce in una giornata di pioggia di vent’anni fa: lupara bianca nel Lazio. Un altro zio di Fragalà, Alessandro, è invece ai domiciliari dal 2015. Vanta una lunga carriera criminale e la capacità di intervenire per dirimere controversie con gli uomini di Michele Senese, re del narcotraffico della Capitale, e con il boss di Ostia ‘don’ Carmine Fasciani”.

Ma non c’è solo il litorale pometino in queste vicende. In un modo o nell’altro ci finisce dentro pure Ardea:

“Nella loro colonizzazione del litorale laziale, i Fragalà si accordano e fanno affari con tutti. «A me non mi tocca nessuno, dalla mia parte ho siciliani, calabresi e romani», dice Sante dal carcere, prima di ‘pentirsi’. I summit si tengono in luoghi protetti; da dietro le sbarre si spediscono minacce di morte e si stringono alleanze. È così che Gaetano Loria, il braccio destro di Santo Mazzei del clan catanese dei Carcagnusi, diventa il padrino di Fragalà e spedisce i parenti da Catania a Roma. Gli trovano un’adeguata sistemazione in una bella palazzina con giardino a Nuova Florida, quartiere di Ardea a due passi da Torvaianica. Le due famiglie sono ormai unite e vivono in simbiosi: vanno insieme anche al carcere di Rebibbia ai colloqui. Francesco Loria, il figlio del boss, incontra pregiudicati romani e calabresi. Frequenta anche Francesco D’Agati, l’anziano palermitano amico di Pippo Calò. È il ‘consigliori’ a cui rivolgere le richieste più delicate. Per muoversi utilizza la stessa auto con cui scorrazza Francesco Condorelli, legato anche lui ai Santapaola”. 

I clan prosperano ma poi iniziano i guai. Screzi, affari sporchi che si trasformano in faida avverso al clan Fasciani di Ostia, considerato “amico” prima di un affare riguardante una partita di cocaina non andato secondo i piani. 

Ma questo è un altro affare, uno dei tanti.

Come quello che vide, nel marzo del 2016, il sequestro del padre di Sante: l’uomo, dopo essere stato rapito per avere la restituzione di 100 mila euro, fu picchiato selvaggiamente. A salvarlo furono i carabinieri sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria, in un’operazione che portò all’arresto di 8 persone. L’intenzione era quella di portare l’uomo da Torvaianica a Catania e di tenerlo in ostaggio fino al pagamento della somma reclamata.

Insomma, di storie su questa famiglia – macchiata anche da lutti tremendi, come la morte di Daniele, fratello di Sante, avvenuta nel 2006, quando il ragazzo aveva solo 25 anni – ce ne sono tante. E a raccontarle adesso è proprio Sante, che svela ai giudici come la “tranquilla” Torvaianica sia in realtà un posto molto amato dalle cosche mafiose.

“Quando la voce di Sante Fragalà rimbomba nell’aula di tribunale, la sorella seduta tra il pubblico si mangia le unghie – conclude l’articolo di Floriana Bulfon su L’Espresso – Alza lo sguardo solo quando il fidanzato, Santo D’Agata, sorridendo le sussurra: «È impazzito». Ha svelato i segreti dell’organizzazione e la capacità dei boss di individuare una dimora accogliente per attecchire e svilupparsi. Il territorio romano come luogo in cui si corrono meno rischi, forti dell’incertezza nel riconoscere che si tratta di mafia. Eppure non è un’infiltrazione: è un sistema”.

 

 

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