Nasce nel lontano 2003 Akuna Matata, prima come incontro tra ritmi acustici e musica elettronica per poi virare decisamente, già nel 2004, verso la sua vera identità che la farà esibire praticamente in tutta Italia; quella dello show itinerante ispirato alle sfilate in strada carnevalesche, come quelle realizzate in Brasile. Uno spettacolo rappresentato da una orchestra di percussioni ma caratterizzato anche da coreografie e teatralità che ne determinano il forte impatto scenico e scenografico.
Ma Akuna Matata è molto di più. È anche uno studio di registrazione professionale gestito dall’esperto Gianfranco Tassella che vanta più di trent’anni di esperienza come tecnico del suono, è una scuola di musica per adulti e bambini, ma soprattutto “è stile di vita“, come tiene sempre a sottolineare Diego Lucantoni, presidente e direttore artistico dell’associazione. Lo abbiamo incontrato proprio nel suo studio di registrazione per intervistarlo e parlare dell’ormai solido e conosciuto progetto ‘Akuna Matata’.
La condivisione e la varietà di linguaggi costituiscono la struttura del progetto
Diego Lucantoni, lei è un po’ il padre di Akuna Matata. Ci racconta di cosa si tratta?
“Akuna Matata negli anni ha subito moltissimi cambiamenti. Nasce come ‘movimento culturale della scimmia’, caratterizzato da un forte senso aggregativo e determinato in sostanza dalla presenza del tamburo che rende coeso il gruppo e crea una esperienza unica. Non conta essere musicisti o non essere musicisti; in Akuna Matata ci si integra ugualmente; ognuno in questo gruppo di percussionisti porta il suo know how che in musica può anche essere pari a zero, ma ciò è secondario. Ciò che è primario è la condivisione di una esperienza di gruppo”.
Una esperienza caratterizzata dal ritmo e dalle percussioni. Perché ha scelto questo linguaggio?
“I linguaggi che utilizziamo sono diversi. Il messaggio del tamburo è diretto, così come lo sono gli altri che utilizziamo, quello visivo e quello dei gesti, un metodo questo diffuso anche nelle scuole di samba. La nostra è una rappresentazione itinerante dove un gruppo di persone sfila e suona condividendo questa esperienza anche col pubblico facendolo diventare così parte della performance”.
Come nasce questa idea?
“Si è perso un po’ in questa epoca il senso di stare in un gruppo, in un ‘branco’; noi proviamo e restituire questo senso cambiando punto di vista, che nel nostro caso quindi non è quello dell’uomo sulla natura ma quello della natura sull’uomo. Quindi parliamo di un collettivo dove è presente una organizzazione orizzontale, anche se ciò non vuol dire che non ci sia una piccola gerarchia gestionale”.
“Akuna Matata è un collettivo, ma amiamo definirci ‘tribù'”
Entrando nel merito della performance musicale in senso assoluto, da cosa è stato ispirato?
“Il nostro sistema di comunicazione musicale non fa assolutamente parte del sistema europeo. Il nostro linguaggio musicale non si può scindere dal linguaggio visivo si ispira a quello dei grossi ensemble percussivi come i blocchi di samba di Rio de Janeiro o di Salvador. Ma il punto non è emularli e, anche se Akuna Matata è fondamentalmente un blocco percussivo, noi amiamo definirci ‘tribù’ e ci distinguiamo dai sudamericani proprio in ragione della specificità del nostro linguaggio visivo e per la nostra identità basata sul punto di vista di cui parlavo poco fa. La nostra performance coinvolge tutti e quattro gli arti in un mix di coreutica, teatro e musica. Non ci sono strumenti più importanti di altri”.
Lucantoni lei ha avuto una lunga esperienza in Brasile che sicuramente l’ha influenzata sotto tutti i punti di vista.
“Parlare di Brasile oltre gli stereotipi più diffusi mi rendo conto sia difficile. Il Brasile è grande circa 23 volte l’Italia, due volte l’Europa, ha tre fusi orari e una varietà climatica non indifferente. La grandezza della natura influisce tantissimo sulla vita dell’uomo, cosa che invece a noi non succede. Questa influenza si manifesta anche nei ritmi di un certo tipo, così come fanno le diverse etnie e culture che compongono la popolazione del Brasile. Ma, ripeto, Akuna Matata dal Brasile ha rubato l’approccio alla musica e alla vita, non le specificità musicali, altrimenti saremmo una orchestra di percussioni come un’altra. Cerchiamo piuttosto di far assorbire le nostre ritmiche a chi ci ascolta per creare una sorta di sinapsi tra noi e il pubblico. Se parliamo tout court di influenze ritmiche vere e proprie Akuna Matata è Brasile, come è America Latina, Africa e le stesse tradizioni percussive italiane. Ma tutto ciò rimane sempre nel campo del popolare perché pensiamo che sarà dalla strada che si troverà l’elemento di salvezza dell’uomo”.
“Prima si deve abbracciare la cultura di cui un ritmo specifico è figlio, e solo dopo si suona. Altrimenti si sentirà nell’esecuzione qualcosa di incoerente”
Qual è il suo metodo didattico?
“Ho avuto grandi maestri dalle percussioni cubane alla batteria. Ho avuto grazie a loro la possibilità di capire, di non vedere la musica solo da un punto di vista. Vede, queste sono musiche che non esistono sul pentagramma, fanno parte ancora della tradizione orale, si tramandano da padre in figlio. Esistono partiture di questi codici, è vero, ma se non si interiorizza fortemente il concetto musicale di base questa musica non la suoni. Parliamo quindi di un comportamento musicale totale e non di mere esecuzioni. È quindi una questione culturale, va abbracciata la cultura prima della musica altrimenti in qualche modo si sentirà nella performance qualcosa che non va, che stride o che risulta incoerente”.
Come si può entrare a far parte di Akuna Matata?
“Siamo un collettivo apertissimo. Immagini, come ho scritto in una mia storia, una scimmia che cade dall’albero; questa prende a percuotere un tronco e le altre scimmie interessate scendono anch’esse per partecipare. Mi piace pensare che noi siamo un po’ questo, quindi chiunque può in qualsiasi momento entrare a far parte del nostro ensemble. La condivisione per noi è tutto”.