Si torna ancora a parlare dei campi rom, e della metodologia da utilizzare per consentirne la chiusura e la riqualificazione, sia ambientale che sociale. “Quello che l’Associazione 21 luglio presenta come il piano che permetterà di superare e chiudere i campi rom si basa su una metodologia, come quella del Romact, che seppure funziona in altri paesi europei, in Italia non ha avuto successo ed è del tutto inattuabile a Roma.” Ha dichiarato Rossi, e ancora: “La forza metodologica del nostro piano rom, invece, è l’approccio uno a uno. La progressiva inclusione degli abitanti dei campi verso occupazioni lavorative e abitazioni decenti, infatti, è solo ed esclusivamente il risultato del costante lavoro che questa Amministrazione sta portando avanti da 5 anni. È il frutto dei numerosi colloqui che i funzionari dell’Ufficio Rom Sinti e Caminanti svolgono quotidianamente come strumento motivazionale e di riflessione per un gruppo di persone che per anni ha subito solo interventi di contenimento, puramente assistenziali.” Dunque, la parola d’ordine, diventa inclusione: “Inoltre ricordo che il Piano di superamento e chiusura dei campi Rom che l’attuale amministrazione capitolina sta portando avanti, al contrario di quanto afferma Carlo Stasolla, sta mostrando risultati concreti. Sono infatti già stati chiusi tre campi – Schiavonetti, Camping River e Foro Italico – abbiamo sgomberato una parte importante del campo di Castel Romano, mentre i campi di Barbuta e Monachina hanno visto una riduzione delle presenze di oltre il 70%”. Conclude in una nota la delegata all’inclusione, Monica Rossi.
Roma, chiusura campi rom, il Comune ‘contro’ l’Ass. 21 luglio: «Loro modello inattuabile nella Capitale, meglio il nostro»
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