Prosegue a pieno ritmo il percorso per il superamento graduale dei campi rom sul territorio di Roma, fino alla loro chiusura. In fase avanzata gli interventi integrati per Barbuta e Monachina. Anche Castel Romano registra un’importante accelerata. L’Amministrazione ha già garantito il superamento e la chiusura di Camping River, di Schiavonetti e Foro Italico.
«Per anni l’approccio ai campi rom ha patito un taglio ‘esclusivo’, nel senso che venivano adottate politiche e interventi validi solo ed esclusivamente per i campi rom e che impedivano ogni azione inclusiva e volta a integrare. Ciò ha determinato la creazione di autentici ghetti, vere e proprie zone franche del tutto immuni rispetto alle leggi valide nel resto della società. L’effetto è stato una costante privazione dei diritti basilari, in particolare per i soggetti più deboli come donne e bambini».
«Allo stesso tempo i campi si sono affermati come focolai di delinquenza e criminalità, con gravi ripercussioni per i cittadini che abitano nelle aree limitrofe. In questo quadro la popolazione all’interno dei campi veniva completamente deresponsabilizzata, mai convolta nei percorsi che li riguardava, contribuendo fortemente a farla sentire un corpo estraneo alla società. Una modalità che abbiamo capovolto radicalmente, a partire da una mappatura sociale minuziosa dei campi», spiega Monica Rossi, delegata della Sindaca per l’Inclusione.
Il campo nomadi de “La Barbuta”
Presso La Barbuta allo stato attuale risultano presenti 191 persone, divise in 53 nuclei. Sono stati siglati 37 patti di responsabilità per altrettanti nuclei. Sono 42 le persone che hanno seguito corsi di formazione: pulizia, raccolta rifiuti ingombranti, cucina. Sono 20 le persone che hanno effettuato tirocini in manutenzione del verde, ristorazione, edilizia e pulizia. Sono 18 le persone avviate ad attività di piccola impresa riguardanti la raccolta di materiali ferrosi. Sono 15 gli inserimenti lavorativi accettati. Sono 37 le persone che hanno avuto accesso a una casa. All’inizio del percorso (1 febbraio 2018) erano state rilevate 656 persone, quindi ne risultano fuoriuscite dal campo in varie forme e modalità 465.
L’insediamento alla Monachina
Presso Monachina allo stato attuale risultano presenti 56 persone, divise in 16 nuclei. Sono stati effettuati 1.200 colloqui (ad alcune persone più di uno). Sono 9 le persone che hanno seguito corsi di formazione e 4 le persone che hanno firmato contratti di lavoro. Sono 4 i nuclei che hanno reperito case in locazione sul mercato privato. All’inizio del percorso (16 ottobre 2018) erano presenti 110 persone, quindi ne risultano fuoriuscite dal campo 54 in varie forme e modalità.
Il caso di Castel Romano
«Presso Castel Romano, a partire dall’1 giugno 2020, sono stati siglati 15 patti di responsabilità da altrettanti nuclei. Tra 2019 e 2020 sono stati effettuati 218 colloqui con altrettante persone», fa sapere il Comune. Ma anche qui i ritardi sono evidenti: la data di settembre – che pure era stata ventilata – è ormai superata e i nodi da sciogliere restano comunque tanti.
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Il Campidoglio: «Roghi tossici diminuiti»
«Il piano sta garantendo notevoli miglioramenti anche in termini di sicurezza, a partire da un progressivo abbattimento dei roghi tossici. Superare e chiudere i campi significa infatti assicurare un miglioramento nella qualità della vita a interi quadranti della città. Sicurezza, legalità e protezione sociale procedono di pari passo, per questo il piano li ha inseriti all’interno di un processo integrato. Ringrazio la Prefettura e i militari di ‘Strade Sicure’ per la profonda sinergia garantita in questi mesi», sottolinea il delegato alla Sicurezza di Roma Capitale Marco Cardilli.
«Il piano per il superamento dei campi rom costituisce un processo complesso e strutturale, che implica un approccio organico al fenomeno. Il punto nodale non risiede nell’individuare una ricetta da applicare sempre e comunque, ma occorre considerare la molteplicità dei fattori in gioco tramite la capacità di rendere flessibili gli interventi in linea con l’evoluzione del percorso. La complessità è dovuta anche al fatto che, per anni, si è andati avanti all’insegna dell’omertà senza che nessuno denunciasse quanto avveniva nei campi. Un assistenzialismo compiacente, in cui ci si limitava a soddisfare bisogni senza tutelare i diritti. Noi abbiamo invertito questo trend, puntando su un processo progressivo e graduale, non esente da errori, ma dinamico, con l’obiettivo di mettere fine alla vergogna dei campi rom alla larga da slogan e da semplificazioni», conclude Monica Rossi.