Radici nel Cemento, immaginate una sera d’estate romana, le stelle nella volta celeste ed una spiaggia del litorale nostrano. La testa è leggera e la voglia di ballare è parecchia. Le casse pompano un ritmo reggae che ‘prende bene’ e in un mondo parallelo che esiste aldilà delle pandemie la gente festeggia, mischiando gioia e sudore ad un concerto.
Quella volta, una tra tante, suonavano i Radici nel Cemento, era il 2003 e non c’era nulla che non filasse per il verso giusto. Quella Giamaica lontana, vista come il paradiso che libera dalle ambasce quotidiane, per una sera è alla portata di un ragazzo che sogna di prendere i suoi vecchi stivali e di partire alla scoperta del Messico, della Cina e del Madagascar.
Radici nel Cemento, soulroots de Roma
I ‘Roots in Concrete’, trasformatisi poi in ‘Radici nel Cemento’, nascono nel 1993 a Fiumicino. Nel ’96 esce il primo disco e da lì l’ascesa rapida fino al decimo album. ‘Alla Rovescia’, ‘Occhio!‘, ‘Fiesta’ fino a ‘Fuego y Corazon’ sono gli album che celebrano il connubio tra le radici romane e quelle reggae. Hit come ‘Me ne voio annà’, ‘Pappa e ciccia’, ‘Er traffico de Roma’, ‘Alla rovescia’, sono state- e lo sono ancora- le colonne sonore della Capitale più autentica e scanzonata.
Rastablanco, voce e chitarra
Trent’anni anni dopo i Radici nel Cemento sono più attivi che mai. Il ritorno alla normalità, dopo una parentesi diversa per il mondo intero è forse imminente e in vista della riapertura dei locali romani abbiamo incontrato la voce del gruppo Giorgio Spriano ‘Rastablanco’, per fargli qualche domanda.
Da Kingston a Ostia, le stesse Radici
Avete fatto ballare decine di ragazzi col vostro reggae in romanesco. Come vi è venuto questo lampo di genio?
Parlaci del vostro amore per il Roots
Il Roots è lo stile che amiamo più di tutti, anche se le influenze di vario genere non sono mancate. Siamo cresciuti musicalmente ascoltando quello, tutti gli artisti dagli anni ’70 in poi, è nel nostro dna: siamo rootsmen.
Il dialetto romanesco, anche se poi è più che altro una cadenza, fa parte di noi.
E’ il nostro modo di esprimerci nel quotidiano, di conseguenza viene naturale trasporlo nei brani, anche se non deve essere un vincolo.
Fra l’altro viene apprezzato molto anche fuori dal raccordo anulare.
‘Gridalo Forte’, dal ’91 ad oggi, ‘No al Fascismo! No al Razzismo!’
Ci racconti dei primi tempi e di Gridalo Forte Records?
Beh, è stato un colpo di fortuna.
Loro – l’etichetta ‘Gridalo Forte’, n.d.r- cercavano una band con cui lavorare dopo il momentaneo scioglimento della Banda Bassotti, noi arrivammo con il nostro demo grazie a delle amicizie in comune.
Inizialmente diffidavano, ci vedevano un po’ troppo ‘freak’ per le loro abitudini, ma decisero di produrci ed è nata una bella storia che in qualche modo dura ancora oggi.
Roots & Culture, Roma come Zion
Giamaica e romanità, un
connubio che spacca. Cosa ha il ‘roman style’ in comune con quello giamaicano secondo voi?
L’amore per i tempi rallentati.
‘Soon come’ e ‘mo arivo’ sono fratelli gemelli.
La socialità e il relazionarsi senza troppe formalità.
Va anche detto che la Roma di oggi non è più quella città aperta, allegra e solidale in cui siamo cresciuti.
Quando vi siete incontrati al liceo di Ostia, tu e Rugantino – Giulio Ferrante- volevate far passare un messaggio con la vostra musica. Qual era? Persiste ancora?
Abbiamo raccontato quello che girava intorno a noi, senza porci limiti: la politica, l’amicizia, il divertimento, l’amore.
E’ quello che continueremo a fare ma non abbiamo la pretesa di essere dei riferimenti, siamo ‘strummers’, nulla di più .
Rastablanco, ‘Dedica’ – a Silvia- ‘Chi non è giusto giustizia non da’
Rastablanco, a quale pezzo famoso dei Radici sei più affezionato?
Ne dico due: ‘Le mie grida’, un brano del nostro primo album contro la pena di morte scritto e cantato dal nostro sassofonista.
‘Dedica’, per Silvia Baraldini, che arrivò su cassetta, cibo al carcere dove era detenuta, negli Stati Uniti. Quando tornò in Italia mi invitò da lei per ringraziarmi, indimenticabile.
Cosa ne pensi del new Roots?
Preferisco l’old Roots.
Le Radici affondano nella memoria e contaminano il futuro
Oggi i Radici secondo voi sono obsoleti per i tempi che corrono? Cosa è cambiato nei ragazzi odierni e negli ascolti attuali?
E’ cambiata la società, sicuramente. Il ricambio generazionale è fisiologico e va accettato con serenità. Quello che cerchiamo di arginare è l’impoverimento dei contenuti e della qualità che ha colpito drammaticamente la musica reggae. Pensiamo che anche le nuove generazioni possano appassionarsi ad arrangiamenti più ricchi e a testi non banalizzati, anche se sono in controtendenza col mainstream.
Stai pensando a nuove cose? Ci dai una anticipazione?
In questo periodo la band ha subito alcune defezioni, stiamo impostando una nuova line up, con la quale iniziare un percorso. Dopo l’estate penseremo a cose nuove, non è facile scrivere ora, c’è bisogno di assimilare quanto accaduto negli ultimi due anni.
Radici nel Cemento, ‘Occhio!’ Sabato 12 giugno, a Roma
Parliamo del concerto della riapertura?
Saremo al Sessantotto Village, in Via Corrado Alvaro a Roma, un posto all’aperto molto accogliente e idoneo al distanziamento. Proporremo un repertorio più leggero rispetto al nostro ultimo live.
C’è bisogno di sorridere, ora.