Continua il nostro viaggio quotidiano alla scoperta di storie e curiosità di Roma e del Lazio. Oggi parliamo delle Ville Tuscolane. Sicuramente meno conosciute dei principali monumenti di Roma e del Lazio, ma comunque meritano una visita. Scopriamo insieme quali sono, quante sono e dove si trovano.
Esce di casa per prendere una boccata d’aria e scavalca la recinzione di Villa Torlonia: sorpreso e denunciato
Un po’ di storia
Prima di addentrarci in quello che è il focus del giorno, come sempre un po’ di storia.
L‘I.R.Vi.T., l‘Istituto Regionale per le Ville Tuscolane, ha sede a Roma e nella splendida Villa Mondragone di Monte Porzio Catone. L’Ente è dotato di personalità giuridica pubblica e opera per favorire e assicurare la conservazione, la valorizzazione, la più idonea utilizzazione e la migliore conoscenza delle Ville Tuscolane e dei relativi parchi e giardini.
Le Ville Tuscolane sono dieci così distribuite sul territorio dei Castelli Romani: a Frascati, Villa Aldobrandini, Villa Falconieri, Villa Lancellotti, Villa Sora, Villa Torlonia e Villa Tuscolana; a Monte Porzio Catone, Villa Mondragone e Villa Taverna Borghese (Parisi); a Grottaferrata, Villa Grazioli e Villa Muti.
L‘I.R.Vi.T. si pone tra gli obiettivi quello di promuovere, divulgare e incentivare la conoscenza di queste meravigliose dimore rinascimentali che rappresentano, per tutto il territorio, non solo un patrimonio di storia e cultura da curare, restaurare, tramandare e valorizzare, ma anche una concreta risorsa per la crescita e lo sviluppo dell’area del Tuscolo.
Villa Aldobrandini, la ‘prima’ delle Ville Tuscolane
Residenza storica tra le più celebri dei Castelli Romani, Villa Aldobrandini sorge su un’altura panoramica che si impone sulla piazza di Frascati immersa in uno splendido giardino all’italiana. È resa unica dal grandioso ninfeo di 2500 metri quadri caratterizzato dalla presenza di stupende fontane e terrazze poste su più livelli. Sulla sommità di una di queste terrazze sorge il palazzo che con il resto della Villa, fu donato dal papa Clemente VIII Aldobrandini al nipote prediletto cardinal Pietro.
Per il progetto, realizzato tra il 1598 e il 1602, il papa si avvalse dell’architetto Giacomo della Porta e in seguito di Carlo Mademo e Giovanni Fontana che completarono il ninfeo per la parte idraulica. La facciata settentrionale del palazzo, rivolta verso la Capitale, è sobria e austera: una caratteristica che pare servisse a nascondere al popolo i fasti della vita di corte.
Il lato sud dell’edificio, invece, rivolto verso il monte Tuscolo, è ben più articolato ed è possibile riconoscervi chiaramente la suddivisione in piani: il piano nobile, con il salone centrale e le cinque volte affrescate dal Cavalier D’Arpino, nella cui bottega si formò il Caravaggio; il piano medio, con la finestra a ‘serliana’ da cui ammirare il ninfeo e il salotto privato affiancato dalla cappella di famiglia; il piano superiore o ‘altana’, con il guardaroba e le stanze di Clemente VIII e del cardinal Pietro.
In corrispondenza delle finestrelle più piccole, visibili anche dal lato nord, vi sono i mezzanini che erano destinati alla servitù. Le cucine e le dispense, infine, erano situate nel piano interrato poiché ai piani alti non giungessero i rumori delle stoviglie né gli odori dei cibi che avrebbero potuto molestare gli ospiti del papa.
Il ninfeo di Villa Aldobrandini è stato realizzato seguendo l’apparato decorativo tipico del giardino all’italiana: giochi d’acqua, statue e strumenti che emettono suoni. Tra le diverse figure che è possibile apprezzare nelle cinque nicchie dell’esedra ci sono un ciclope e un centauro e al centro la grande statua di Atlante che sorregge il Globo. Nella ‘Stanza di Apollo’ o ‘Stanza dei Venti’ spiccano alcuni degli affreschi realizzati tra il 1616 e il 1618 dal Domenichino e dai suoi collaboratori, tra cui Alessandro Fortuna e Giovan Battista Viola.
Nella parete centrale della sala, si trova il grande complesso ligneo con Apollo, Pegaso e le Muse sul Parnaso di Sarrazin e Anguilla; la volta è affrescata con decorazioni a finto pergolato di Domenico Cresti detto il “Passignano”. Il Teatro delle Acque è il fulcro di complessi giochi acquatici che confluiscono nella cascata a gradinata delimitata da due colonne tortili.
La Villa restò di proprietà degli Aldobrandini fino al 1681 anno in cui, con la morte di Olimpia Aldobrandini, passò alla famiglia del marito Camillo Pamphili. Quando questi ultimi si estinsero nel 1760 e dopo varie vicissitudini, nel 1769 la villa fu acquistata dai Borghese per poi tornare nuovamente agli Aldobrandini nel 1837.
Oggi, la villa ospita grandi eventi, importanti manifestazioni culturali e artistiche, concerti e cerimonie.
Villa Falconieri, la più antica delle Ville Tuscolane
Villa Falconieri, a Frascati, è la più antica delle Ville Tuscolane. Inserita nella Rete regionale delle Dimore storiche del Lazio, sorge in posizione elevata rispetto all’abitato, rivelandosi ai visitatori lungo una stradina secondaria che si dirama dalla provinciale per il Monte Tuscolo.
È stata costruita intorno alla metà del Cinquecento sul sito di un’antica villa romana per volere del vescovo di Melfi, Alessandro Rufini, in onore del quale la villa era conosciuta originariamente come Villa Rufina e poi come “la Maddalena”, dal nome di una piccola cappella che, per favorire i lavori di ampliamento della nuova costruzione, venne demolita. Intorno al 1546, infatti, la villa fu ingrandita per volere di Papa Paolo III Farnese che dal 1540 intraprese un’azione di rinnovamento del territorio di Frascati.
I lavori di completamento della villa vennero affidati a Nanni di Baccio Bigio, allievo di Antonio da Sangallo il Giovane. Nel 1563, a causa dei debiti, la famiglia Rufini fu costretta a vendere la villa che da allora vide avvicendarsi nella proprietà diverse famiglie della nobiltà romana: Cenci, Sforza, Gonzaga e Montalto. Questi ne modificarono la struttura più volte fino al 1620. Nel 1628 fu acquistata dai Falconieri, che ne furono proprietari fino al 1879, quando il complesso fu venduto a Elisabetta Aldobrandini Lancellotti.
Fu la famiglia Falconieri a commissionare lo spendido ampliamento architettonico a opera di Francesco Borromini. Nelle sale del palazzo è possibile ammirare gli affreschi, tra gli altri, di Pier Leone Ghezzi, Giacinto Calandrucci, Ciro Ferri, Nicolò Berrettoni, Francesco Grimaldi e decorazioni pittoriche del XVI secolo attribuite a Luzio Luzi e Perin del Vaga. Nel 1733, prese il via la radicale trasformazione dell’area verde, dei giardini e del terreno adiacente.
I Falconieri dotarono la Villa di una ricca biblioteca, favorirono riunioni del circolo d’intellettuali legato alla regina Cristina di Svezia, promossero incontri, spettacoli teatrali e musicali e, dal 1656, concessero anche venti borse di studio annuali per giovani “capaci, bisognosi e di buoni costumi, anche di nobili natali”. La Villa ospitò negli anni scrittori, storici e pittori.
Dal 1898 al 1905, ospitò anche i frati trappisti dell’Abbazia delle Tre Fontane che causarono gravi danni agli affreschi, ritenuti poco consoni a un ambiente monastico. Nel 1907, fu acquistata dal barone Ernest Mendelssohn-Bartholdy che la donò all’imperatore Guglielmo II il quale nel 1911 la elesse a sede d’una scuola tedesca di belle arti e lettere (affidata all’Istituto Germanico di Roma) in grado di sfidare l’Accademia francese di Villa Medici.
Dopo la Prima guerra mondiale, Villa Falconieri venne confiscata dallo Stato: ospitò l’Istituto Internazionale di Cinematografia educativa diretto da Luciano De Feo e, per breve tempo, l’Istituto Nazionale per le Relazioni con l’Estero. Durante la Seconda guerra mondiale, fu occupata dal comando militare tedesco; nei bombardamenti dell’8 settembre 1943 perse l’intera ala destra, la casa rurale e l’alloggio del custode.
In seguito, affrontò un periodo di abbandono e saccheggi fino ai primi lavori di restauro nel 1956. Ha ospitato il Centro Europeo dell’Educazione (CEE, poi CEDE) dal 1959 fino al 1999 e l’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema dell’Istruzione (INVALSI) dal 2000 al 2015. Dal 2016 è concessa in uso all’Accademia Vivarium Novum.
Villa Lancellotti
Villa Lancellotti è una delle sei ville tuscolane situate sul territorio di Frascati. Si trova nei pressi del viale che costeggia il suggestivo Parco dell’Ombrellino, parte della Rete delle Dimore storiche del Lazio. Vanta una storia molto diversa rispetto a quella che portò alla costruzione delle altre sontuose dimore dell’aristocrazia papalina nel territorio frascatano.
Nel 1582, Silvio Antoniano, segretario del Collegio Cardinalizio, fece dono alla Congregazione dell’Oratorio fondata da Filippo Neri, detta per questo anche “dei Filippini”, di un terreno a Frascati. Qui venne eretta grazie al lavoro di un confratello laico dell’Oratorio, Antonio Sala, una casa di campagna, villa della Croce, destinata alla convalescenza dei componenti della Congregazione. Il primo nucleo architettonico era molto semplice: a due piani, con cucina e cantina al piano terra, ampio ambiente centrale per le carrozze e grande salone centrale al piano superiore dove si affacciavano le stanze e una piccola cappella.
Dopo la morte di Filippo Neri, il cardinale Cesare Baronio donò agli Oratoriani altre porzioni di terreno ma questi, impegnati nei lavori di costruzione della Chiesa Nuova e incapaci di sostenere le spese di manutenzione del fondo, affittarono la villa al cardinale Alfonso Visconti che ampliò l’edificio trasformandolo da “casa ordinaria” in “palazzo” con la realizzazione di una loggia a tre archi e due ali simmetriche con sei stanze.
Visconti fece affrescare le volte delle sale al piano terra con soggetti a tema biblico e allegorico e con stemmi eseguiti da Cherubino Alberti intorno al 1606. Con la morte del Cardinale nel 1608, i lavori si interruppero e i Filippini dovettero vendere la villa che passò dapprima al duca Mario Mattei e poi al duca Ferdinando Gonzaga che la vendette, nel 1617, al banchiere pisano Roberto Primi, esponente della famiglia Borghese e tesoriere di Paolo V.
A Roberto Primi si deve la costruzione nel giardino del “teatro delle acque”, ispirato a quello di Mondragone ma scenograficamente meno fastoso di quello di Villa Aldobrandini. La figlia di Primi, Caterina, sposò Silvio Piccolomini la cui famiglia ereditò la villa fino al 1840 quando venne venduta al barone Francesco Melherm di Baviera. La proprietà passò poi nel 1866 a Elisabetta Aldobrandini, moglie di Filippo Massimo Lancellotti che diede inizio a una serie di lavori di consolidamento e restauro che interessarono il ninfeo e la decorazione pittorica interna come la volta della sala al pianterreno decorata nel 1873 da Angelini e Forti e che raffigurava scene tratte dalla storia della famiglia Lancellotti.
Villa Sora
Villa Sora è una delle sei Ville Tuscolane di Frascati, posta precisamente sull’antica via Romana, oggi Via Tuscolana. Un tempo, la superficie su cui sorge la villa faceva parte del “Tuscolano” di Licio Licinio Lucullo e, in epoca successiva, della villa di Saverio Sulpicio Galba, imperatore di Roma dal 68 al 69 d.C.
Un casale di campagna venne costruito sul fondo a partire dalla prima metà del XVI secolo e conosciuto con il nome di “Torricella”. Le prime notizie documentate risalgono all’anno 1546 e sia l’edificio che il terreno circostante a quell’epoca risultavano di proprietà dei religiosi della cappella del “Santa Sanctorum” di Roma. Successivamente, la costruzione subisce profonde trasformazioni e ampliamenti a opera dei nuovi proprietari, i conti Moroni, di origine milanese, che ebbero il raro privilegio di ospitare nella villa restaurata sia il papa Gregorio XIII che il cardinale Carlo Borromeo nel novembre del 1582.
Dopo tale solenne visita, la villa prese anche il nome di “villa del papa”, potendosi altresì fregiare dell’insegna dei Boncompagni (la casata del pontefice) sul portone principale. Nel maggio del 1600, Giacomo Boncompagni, duca di Sora e figlio naturale di Gregorio XIII, acquistò la proprietà da Bartolomeo Moroni ponendovi la propria residenza con la moglie Costanza Sforza di Santa Fiora. I Boncompagni rimasero proprietari della villa per quasi trecento anni, alternando periodi di splendore a fasi di decadenza.
Finché nel 1893, Rodolfo Boncompagni Ludovisi, principe di Piombino, cedette la villa con tutti gli arredi a Tommaso Saulini che la tenne fino al 1900 per lasciarla poi ai padri salesiani che ne conservano tuttora la proprietà.
Con l’avvento dei salesiani, la struttura architettonica dell’antica villa venne rivista. Fu istituito un collegio che a lungo rivaleggiò con il Nobile Collegio di Mondragone, gestito dai Gesuiti. I salesiani costruirono, nel 1912, un nuovo corpo di fabbrica destinato a ospitare delle scuole che verrà congiunto alla villa, nel 1926, attraverso un lungo corridoio. L’originaria costruzione era caratterizzata da un edificio a forma quadrata a tre livelli, dotata di due torrette: una con vista su Roma, l’altra, più piccola, prospiciente la facciata principale.
Passato il portale d’accesso, si accedeva nel cortile e, per mezzo di una scala, ai piani superiori. Nel salone, al piano nobile del palazzo, sulle quattro pareti vi sono affreschi con scene allegoriche che riproducono le nove muse, intervallate dalla rappresentazione di uomini illustri e da scene di paesaggio. Per lungo tempo la decorazione di questa sala è stata attribuita ai fratelli Taddeo e Federico Zuccari ma studi più recenti e approfonditi la indicano affrescata da Cesare Rossetti, della bottega del Cavalier d’Arpino.
Attigua al salone si trova la bella cappella detta di San Carlo Borromeo: sulla porta è rappresentata l’Annunciazione, sull’altare trova spazio la tela dell’Assunzione della Vergine e nella volta la SS. Trinità, ciclo attribuito a Nicolò Riccioloni.
Villa Torlonia, la ‘quinta’ delle Ville Tuscolane
Villa Torlonia è una delle sei Ville Tuscolane costruite a Frascati e fa parte della Rete delle Dimore storiche del Lazio. Dell’originario complesso architettonico, oggi è possibile ammirare solo il sontuoso parco con il Teatro delle Acque, le fontane e le scenografiche scalinate che troneggiano in prossimità della piazza principale della città. Durante la Seconda guerra mondiale, infatti, i bombardamenti compromisero irrimediabilmente il palazzo nella sua struttura originaria che venne poi ricostruito in forme moderne.
La prima costruzione rinascimentale risale al 1563 quando Annibal Caro eresse, nel luogo in cui si pensava vi fosse la villa di Lucullo, un piccolo edificio nominato “caravilla”. Annibal Caro utilizzò la villa come luogo in cui dedicarsi alla traduzione: è qui infatti che completò la traduzione dell’Eneide. Nel 1579, la villa venne acquistata dal cardinale Tolomeo Galli, Segretario di stato di papa Gregorio XIII Boncompagni, che ampliò la proprietà e costruì il primo nucleo di quella che diventerà la grande dimora degli anni successivi.
Nel 1607, la villa venne acquistata dal cardinale Scipione Borghese che, grazie anche al supporto dello zio, papa Paolo V, affidò a Flaminio Ponzio il progetto delle fontane e a Carlo Maderno e Giovanni Fontana, esperto di idraulica, la loro realizzazione. Scipione Borghese provvide dunque alla costruzione delle fontane e dell’acquedotto necessario ad alimentare il grandioso Teatro delle Acque, la Peschiera al di sopra delle cascate e la famosa fontana “del candeliere” posizionata di fronte alla villa (attualmente di proprietà privata).
Nel 1614, malgrado l’importanza dei lavori eseguiti, il cardinale Scipione Borghese decise di vendere questa proprietà per acquistare villa Taverna e villa Angelina con l’intento di riunire le varie proprietà Borghese del Tuscolo intorno al complesso di villa Mondragone, ormai quasi ultimata. Acquisitata in seguito da Giovan Angelo Altemps, la villa passò nel 1621 ad Alessandro Ludovisi che diede inizio a importanti lavori di ampliamento e di decorazione del palazzo e del giardino.
I lavori furono commissionati a Carlo Maderno che progettò il nuovo fronte orizzontale del Ninfeo come si può ammirare attualmente con nicchie, pilastri e vari elementi decorativi. Tra il 1661 e il 1680, la villa passò prima ai Colonna e poi alla Famiglia Conti che ne mantenne la proprietà fino al 1820, quando passò agli Sforza Cesarini e, in ultimo, nel 1841, ai Torlonia.
Famose le pitture presenti nel salone principale del piano nobile: il “Trionfo di Bacco” e, in una stanza adiacente, la “Forza che corona la Mansuetudine” di Maffeo Mieli (1732), mentre nella volta di altri due ambienti, grottesche della scuola degli Zuccari purtroppo tutte perdute a causa dei bombardamenti che colpirono la Villa nel corso della Seconda guerra mondiale.
Il giardino di villa Torlonia è tuttora considerato il più ricco di motivi architettonici, di piante e acque fra quelli delle ville tuscolane: gruppi e file di alberi intersecati da sentieri e, al centro, il viale di platani che gode in tutto il suo percorso della vista della catena d’acqua. Oggi il giardino è un importante parco di proprietà comunale, sempre accessibile al pubblico.
Villa Tuscolana
Villa Tuscolana a Frascati, per la sua posizione invidiabile, più elevata rispetto alle altre, è considerata la più panoramica delle dimore del Tuscolo. Prende il nome attuale proprio dal “Tusculanum”, la dimora di Marco Tullio Cicerone, ma nella letteratura è conosciuta anche come “la Rufinella”. La struttura più antica, infatti, fu edificata nel 1578 su un terreno di proprietà dell’Abbazia di San Nilo, ceduto in enfiteusi ad Ascanio Rufini nel 1564. Monsignor Alessandro Rufini, già proprietario di villa Falconieri o Rufina, chiamerà questa nuova costruzione “Rufinella” per distinguerla dalla prima.
Dopo la morte del Rufini, si susseguirono diversi proprietari tra cui anche gli Aldobrandini, finchè nel 1639 la proprietà passò alla famiglia Sacchetti che la conservò per circa un secolo. Nel 1740, fu acquistata dai Padri Gesuiti che diedero inizio a grandi lavori di trasformazione. È di questo periodo la realizzazione dell’edificio visibile oggi, una Villa-Convento, i cui lavori furono commissionati all’arichitetto Luigi Vanvitelli. Prima di questi interventi, la villa presentava una pianta rettangolare e tre piani, distinti da cornici marcapiano sulle quattro facciate.
Il Vanvitelli aggiunse alla struttura già esistente un corpo perpendicolare, dove oggi si trova l’entrata principale. Gli ambienti appaiono distribuiti su quattro piani che presentano diverse altezze. Anche la posizione delle finestre, che nel corpo principale sono contenute tra lesene e marcapiani in pietra sperone, denota questa strana collocazione. Al centro della facciata vi è un portico d’ingresso a tre arcate e sopra di esso si trova il salone centrale con ancora in alto la loggia cosiddetta “belvedere”, da cui si vede il panorama più ampio tra quelli di tutte le altre ville.
Ciò che colpisce il visitatore, infatti, sono soprattutto la vista straordinaria, la presenza del verde e i resti archeologici, emersi durante i lavori del Vanvitelli, sparsi ovunque, testimonianza unica di un ricco passato. Nel corso degli interventi, emersero tra gli altri antichi mosaici che confluirono nel Museo Nazionale Romano, ora Palazzo Massimo.
Con la soppressione dell’Ordine dei Gesuiti, la dimora ritornò alla Camera Apostolica e nel 1804 fu venduta a Luciano Bonaparte, principe di Canino. Dopo il disastroso passaggio delle truppe austriache e la proprietà di Vittorio Emanuele di Savoia, la villa fu acquistata da Elisabetta Aldobrandini Lancellotti che la collegò con nuovi viali a villa Aldobrandini. La villa restò ai Lancellotti fino al 1966, anno in cui fu comprata dai Salesiani che diedero seguito a un radicale intervento di restauro poi ultimato dall’attuale proprietà al fine di ripristinare l’antico splendore.
Villa Mondragone
Il complesso di Villa Mondragone sorge su una collina in posizione felicemente panoramica, rivolta verso Roma. Situata tra Frascati e Monte Porzio Catone, comune del quale fa parte, la Villa è circondata da un incantevole parco di 18 ettari.
Posta sui resti di un’antica villa romana appartenente alla famiglia dei Quintili, venne edificata tra il 1573 e il 1574 dal giovane cardinale Marco Sittico Altemps, nipote di papa Pio IV Medici, per ospitare la corte papalina di Gregorio XIII. A quest’ultimo si deve il nome “Mondragone” riferito al drago alato, simbolo araldico della casata di Gregorio XIII, i Boncompagni, usato come elemento decorativo nel palazzo e nel giardino.
La villa è opera dell’architetto della famiglia Altemps, Martino Longhi il Vecchio della scuola del Vignola, che su suggerimento del pontefice costruì un nuovo imponente edificio sul poggio sovrastante, sfruttando come sostruzioni i resti romani della residenza dei Quintili anche se con orientamento diverso. La Villa presenta molte ampie sale, alcune delle quali riccamente decorate. Tra tutte spicca la maestosa Sala degli Svizzeri che pur non presentando nessuna decorazione è conosciuta per aver fatto da cornice a un importante evento storico: la Riforma del Calendario Giuliano voluta proprio da Papa Gregorio XIII che qui promulgò, nel 1582, la celebre Bolla “Inter gravissimas”.
Nel 1613, il cardinale Scipione Borghese, nipote di papa Paolo V, acquistò villa Mondragone e altre proprietà del duca Gian Angelo Altemps e tra il 1616 e il 1618 diede il via a significativi lavori di ampliamento condotti dall’architetto fiammingo Jan van Santen, detto Giovanni Vasanzio, progettista di fiducia del cardinal Borghese.
Questi interventi interessarono sia il blocco edilizio, ampliato con la galleria di collegamento tra il casino del Longhi e la Retirata, la piccola costruzione residenziale edificata per il figlio del cardinale Altemps, sia l’esterno con il Giardino grande, il portico, il Teatro delle Acque e la grande corte quadrangolare che richiama la cour d’honneur delle residenze reali di Francia. Fu residenza estiva dei papi fino al 1626 quando Urbano VIII, salito al soglio pontificio, la spostò a Castel Gandolfo segnando l’avvio di una progressiva decadenza dell’intero complesso delle Ville Tuscolane e in particolare di Villa Mondragone.
Nel 1866, venne acquistata dalla Compagnia di Gesù che le restituì il suo prestigio collocandovi dapprima la sede estera del collegio Ghislieri e successivamente un’importante istituzione educativa, il Nobile Collegio Mondragone, convitto per i rampolli di famiglie altolocate. Nel 1929, l’architetto Clemente Busiri Vici progettò e diresse i lavori di ampliamento e ristrutturazione interna della Villa, realizzando anche la cosiddetta “galleria nuova” che oggi, dopo i lavori di adeguamento funzionale e l’attività di valorizzazione attuati dall’I.R.Vi.T. e ha preso il nome di “galleria Gregorio XIII. In seguito, nel 1981, la Villa fu ceduta dalla Compagnia di Gesù all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata che, dopo iniziali interventi di rifunzionalizzazione, ne ha fatto la sede di rappresentanza dell’Ateneo e il luogo ideale per l’organizzazione di diversi eventi.
Villa Taverna Borghese (Parisi)
Villa Parisi fu costruita dal Cardinale Ferdinando Taverna intorno al 1605 sulle rovine di una villa romana e sorge su un’area occupata da strutture romane tra cui una cisterna afferente le vicine strutture della villa dei Quintili sotto villa Mondragone. Sorge anch’essa nel territorio di Monte Porzio Catone ed è parte della Rete delle Dimore storiche della Regione Lazio.
Taverna, già Governatore di Roma sotto il pontificato di Clemente VIII, cominciò i primi lavori sul corpo principale della villa commissionandoli all’architetto Girolamo Rainaldi finché, nel 1614, decise di venderla al Cardinale Scipione Borghese, nipote di Paolo V, ottenendone inoltre in cambio Villa Acquaviva, poi Grazioli. Borghese commissionò al Vasanzio (già impiegato in altri cantieri del cardinale) una serie di nuovi interventi di ampliamento e ristrutturazione della villa che si arricchì di due corpi laterali, un ninfeo e un giardino segreto mentre il monumentale accesso alle ville dei Borghese, detto “Portale delle Armi”, è attribuito al Rainaldi.
All’interno, la villa risultò molto simile a villa Mondragone: un salone ampio a doppia altezza intorno al quale si collocavano delle stanze laterali. Nuovi lavori di abbellimento decorativo iniziarono con Camillo Borghese che nel 1729, alla morte del padre Marcantonio, ne ereditò i beni e sposò Agnese Colonna. In seguito, nel XVIII secolo, la decorazione pittorica fu affidata a vari artisti.
I fratelli romani Giuseppe e Domenico Valeriani realizzarono nel salone centrale detto “delle feste” gli splendidi affreschi raffiguranti figure femminili allegoriche raffiguranti le Arti; sopra il camino, Romolo e Remo con la lupa e una regale dea Roma, con ai suoi piedi oggetti di guerra; sui lati brevi invece quattro “Telamoni” che reggono strutture architettoniche, e ancora busti di imperatori romani, armi e decorazioni in stile neoclassico.
Nel 1741, in occasione della visita di papa Benedetto XIV, vennero eseguiti nuovi lavori che interessarono alcune sale, tra cui quella delle “cacce”, della “musica”, delle “stagioni” e nella Cappella di famiglia, abbellita dagli arazzi realizzati da monsignor Sergardi. I Valeriani dipinsero anche le “Stagioni” inframmezzate da quattro sovrapporte con le figure di Giove, Ercole, Marte e Vulcano; fiori e animali delimitavano i simboli delle “Arti Liberali” e delle “Arti del Quadrivio”.
Nella sala detta “delle statue”, dove dipinsero tre figure mitologiche in monocromo, è possibile ammirare l’opera dei Valeriani accanto agli splendidi paesaggi del Bavarese, Ignazio Heldman, tra cui “il paesaggio con i pescatori”. Tra il 1768 e il 1832, interventi decorativi ispirati all’antica Roma furono affidati al pittore polacco Thaddaus Kuntze, attivo a villa Parisi, tra cui le “nozze aldobrandine”, copia di un originale alessandrino rinvenuto nel 1600 sull’Esquilino e rimasto a lungo di proprietà degli Aldobrandini prima di passare ai Borghese.
Nel 1896, la villa venne venduta a Saverio Parisi: il figlio Enrico e la moglie Elena Serra di Cassano hanno restaurato integralmente la villa nel decennio 1925 – 1935, effettuando lavori di adattamento interno e restauri pittorici ma lasciando immutato quanto realizzato nei secoli precedenti. La Villa subi` seri danni durante l’ultimo conflitto mondiale, a seguito dell’occupazione del comando tedesco prima e poi per il passaggio delle truppe americane; infine, diede riparo sino al 1951 a numerose famiglie e scuole sfollate a causa dei bombardamenti.
Villa Grazioli
Al confine tra Grottaferrata e Frascati, in posizione panoramica sul colle del Tuscolo e circondata da un parco di 15.000 metri quadri, sorge Villa Grazioli, dimora tuscolana tra le più ricche a livello decorativo: ancora oggi, infatti, conserva tra le sue mura straordinarie opere d’arte di grandi maestri del XVI e XVII secolo. Inserita nella Rete regionale delle Dimore Storiche del Lazio, fu commissionata dal Cardinale Antonio Carafa nel 1580 che decise di costruire lì la villa per il clima mite e l’atmosfera di pace che si respirava sui colli tuscolani.
Alla morte del Carafa, la Villa venne ereditata dal Cardinale Ottavio Acquaviva d’Aragona il quale commissionò ad Agostino Ciampelli gran parte delle decorazioni pittoriche sui soffitti dei quattro saloni del piano nobile: una pittura composta, contenuta, quasi intima che rimanda al tema della meditazione. La proprietà della villa passò, nel 1613, al Principe Michele Peretti che, su suggerimento del fratello, il Cardinale Alessandro Damasceni Peretti di Montalto, commissionò la decorazione della Stanza dell’Eliseo al piano nobile a un pittore della scuola bolognese dei Carracci, probabilmente lo stesso Antonio Carracci, nipote del celebre Annibale. Uno di questi dipinti ritrae la Villa così come appariva in quegli anni: il platano dipinto 400 anni fa, infatti, potrebbe lo stesso che si trova ancora oggi all’interno del parco.
Con l’acquisto della villa, nel 1683, da parte della famiglia Odescalchi iniziarono una serie di lavori di consolidamento e restauro tra il 1696 e il 1698. In seguito, fu coperta la terrazza cinquecentesca e creato il secondo piano; fu poi Baldassarre Erba Odescalchi a far costruire il terzo piano e a commissionare la decorazione della “Galleria nova” a Giovanni Paolo Pannini, uno dei più celebri pittori dell’epoca. Pannini raffigurò sulle pareti della galleria Apollo e Diana e le Allegorie delle Stagioni e dei quattro continenti.
Nella volta, coppie di geni affiancano gli stemmi Odescalchi, l’aquila, il leone, la navicella e i segni dello Zodiaco, e possenti figure maschili sorreggono le cornici con i quattro elementi, Aria, Acqua, Fuoco e Terra. Nel 1843, la villa venne acquistata dal Duca Pio Grazioli al quale si deve l’impostazione architettonica visibile ancora oggi: Grazioli fece modificare l’ultimo piano della facciata settentrionale che affaccia su Roma e quindi inglobare la torre centrale del XVI secolo in una nuova struttura.
La Seconda guerra mondiale segnò l’inizio di un lungo periodo di abbandono e incuria della villa che, con i bombardamenti di Frascati, fece anche da rifugio a un gruppo di cittadini sfollati. In seguito, la villa versò in stato di rovina per oltre 40 anni fino al 1987 quando iniziarono i primi lavori di restauro.
Oggi è possibile ammirare la Villa, che ospita un elegante Hotel, in tutta la sua raffinatezza architettonica ed è in agenda il completo restauro delle decorazioni pittoriche.
Villa Muti, l”ultima’ delle Ville Tuscolane
Nel tratto di bosco di Grottaferrata, lungo la strada che conduce a Frascati, sorge Villa Muti. Le prime notizie, risalgono al 1579 quando Monsignor Ludovico Cerasoli, canonico di Santa Maria Maggiore, avrebbe acquistato, per impiantarvi delle vigne, questi terreni caratterizzati da un’importante presenza di antichi ruderi, forse di una grandiosa villa romana appartenuta a Marco Petronio Onorato.
Nel 1591, alla morte di Cerasoli, la proprietà venne venduta all’avvocato concistoriale Pompeo Arrigoni che, nominato cardinale di lì a poco da Clemente VIII, acquistò anche molti dei terreni vicini. Arrigoni diede il via alla costruzione di un palazzo semplice ma austero e alla riorganizzazione del giardino. Quest’ultimo, articolato su più livelli, venne realizzato probabilmente sfruttando i terrazzamenti artificiali della villa imperiale, trasformati poi in giardini pensili.
Arrigoni sistemò anche la zona sottostante lungo il pendio, facendo realizzare una serie di aiuole di disegno geometrico e fontane. Della metà del Seicento, invece, è la realizzazione del giardino alla francese e la sistemazione del boschetto a monte mentre ancora successivo è il palmeto nella zona inferiore e il taglio rettilineo dei viali che convergono verso il grande portale in pietra. Nell’Ottocento, infine, con la riunificazione della proprietà, venne realizzato il giardino inglese.
Con Arrigoni, vennero realizzate anche le decorazioni del piano nobile con scene tratte dalla Bibbia: il ciclo di affreschi si può ammirare sui soffitti di 12 stanze, in 7 ambienti del corpo centrale del fabbricato più in alcune sale laterali più piccole. A Domenico Cresti, detto il Passignano, e Ludovico Cardi, detto il Cigoli, si devono i primi affreschi. Non ne è certa la datazione: secondo gli studiosi, il Cigoli lavorò a Villa Muti nel suo ultimo anno di vita, il 1613, limitando molto la sua attività poiché impegnato anche in altre commesse.
A completare l’opera venne chiamato, dunque, il Passignano che diresse i lavori e dipinse Tobia che ridà la vista al padre, il Sogno di Giacobbe, la Creazione di Eva e il Sacrificio di Isacco. Alla morte del cardinale Arrigoni, nel 1616, i lavori si interruppero e il pittore fece ritorno a Firenze lasciando incompiuto il Mosè sul Monte Sinai. La villa, passata intanto agli eredi, i monsignori Ciriaco Rocci e Diomede Varesi, nel 1629 venne divisa in due parti.
Il Varesi riprese il ciclo decorativo con Storie di Daniele, Storie di Abacuc, Caduta della Manna e Passaggio del Mar Rosso, a lungo attribuite a Pietro da Cortona ma da mettere in relazione con l’opera di Marco Tullio Montagna (documentato nei conti della villa nel 1628) e di Simone Lagi. Lo stesso Varesi, intorno al 1640, affidò le decorazioni delle volte dell’ala sud a Giovanni Lanfranco al quale si deve la realizzazione degli affreschi con l’Incontro di Giuda a Tamar, Giuseppe gettato nel pozzo dai fratelli e Susanna e i vecchioni.
Dopo la morte di Ciriaco Rocci nel 1680, la parte nord passò alla figlia Francesca e quindi a Innocenzo Muti. L’altra parte, attraverso Girolamo Varesi passò agli Amadei. Nel Novecento la villa venne riunificata dai Muti che dopo la Seconda guerra mondiale vendettero la proprietà.