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Pomezia, viaggio nelle case popolari di Via Singen: in 5 anni la situazione è peggiorata

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“È cambiato qualcosa?”. La risposta di Massimo Dionisi ci gela immediatamente: “No, purtroppo a ‘ste case no e non cambierà mai niente, perché non vengono a fare i controlli”. 

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Siamo a Via Singen, alle torri: case popolari di proprietà dell’Ater (Azienda territoriale per l’edilizia residenziale). Nel novembre del 2012 era andata la nostra direttrice, Maria Corrao, insieme a City Web Tv per fare un’inchiesta su questi luoghi di degrado e abbandono. Massimo, che vive qui dal 1982 (le torri furono costruite nel 1981) ed è l’unico a fare le pulizie tra questi palazzoni da più di vent’anni, aveva già fatto loro da Cicerone. E quello che aveva mostrato era sconcertante: perdite d’acqua dalle tubature, mura fatiscenti, mattonelle traballanti, alberi pericolanti e soprattutto spazi occupati abusivamente da uomini e donne senza acqua né luce, ma con decine di topi (come potete vedere nel video qui sotto).

Cinque anni dopo siamo tornati a controllare la situazione, per renderci conto e farvi sapere se, con il cambio di amministrazione, c’è stato qualche intervento. Ma quello che vediamo ci lascia davvero senza parole: non solo molte cose sono rimaste uguali, alcune sono addirittura peggiorate.

L’Inchiesta è stata pubblicata ne Il Corriere della Città – Febbraio 2018

 

Case popolari di Via Singen: gli interni

Iniziamo dagli interni. Appena entriamo nella Torre A, numero civico 38, vediamo il portone, le cassette delle poste e alcuni pulsanti del citofono rotti. Sulla sinistra c’è una rampa di scale scoperta. C’è della sporcizia, molti scalini sono spaccati e traballanti, con dei pezzi di mattonelle staccati e scritte dappertutto.

È opera dei vandali. “Vengono portati da persone che abitano qua- ci dice spiega Massimo- Li ho pizzicati insieme a mia sorella, ma sono scappati e ritornano sempre”. Rovinano qualcosa e si fumano le canne.

Agli ispettori dell’Ater lui l’ha riferito. Ma non viene nessuno ed il clima di insicurezza aumenta sempre di più. Si tratta di un ritornello che torna parecchie volte nel nostro giro tra le torri.
Come quando, subito dopo, gli chiediamo se può portarci al quarto piano: quello dove cinque anni fa documentammo lo stato di abbandono di un’occupazione abusiva che sembrava una discarica a cielo chiuso. Allora chi abitava lì era stato gentile e si era fermato a parlare con Maria. Ma ora qualcosa è cambiato.
“Ci abita brutta gente, io non ci torno. Mi hanno detto di stare lontano dal quarto piano”. Massimo non vuole sentire storie. Riusciamo solo a strappargli di bocca che adesso lì c’è una famiglia di marocchini, ma a quanto pare sia lui che altri vicini non si sentono tranquilli e a quel piano non si vogliono più avvicinare.

Le condizioni igieniche lì e nel resto della struttura, poi, non sono tanto migliorate. I topi ci sono ancora. Molti sono morti, ma non per opera di una disinfestazione generale. Sono i singoli inquilini che li stanno uccidendo.

E così vale per le perdite d’acqua. Incontriamo due signore, entrambe ci raccontano la stessa cosa: ci sono delle infiltrazioni sui tetti e piove in casa. Una di loro, esausta, ci dice che provvederà da sola, perché non ce la fa più a segnalare il problema all’Ater senza ottenere interventi concreti.
Per questa ed altre perdite, che sulle pareti esterne della torre si mostrano in angoli e punti letteralmente marci, anche Massimo si è attaccato al telefono con l’azienda per l’edilizia residenziale.
Risultato: “mi hanno risposto <lì da te c’è poca gente che paga gli affitti>”. Gli chiediamo se è vero che alcuni non pagano. “Ho sentito dire di sì”. Come dire, occhio per occhio: la legge del Bronx.

Prima di uscire ci porta sul tetto. Per farlo dobbiamo prendere l’ascensore. Poco prima si era bloccato, come accade spesso: la pedana non viene cambiata da anni. Accanto alla porta c’è una piccola edicola della Vergine Maria. Sembra messa lì apposta, come a dire che bisogna affidarsi a lei per arrivare a destinazione sani e salvi.

Una volta in cima all’edificio non facciamo in tempo a goderci il meraviglioso panorama che il nostro Cicerone ci mostra una voragine che si è aperta su una parete, oltre ad una tubatura lasciata abbandonata in un angolo. Ci sembra di aver già raccolto parecchio materiale, ma è fuori che ci aspetta il vero “spettacolo”.

L’esterno delle case Ater di Via Singen a Pomezia

Uscendo osserviamo gli spazi degli ex negozi. Cinque anni fa erano occupati abusivamente e lo sono ancora oggi. Pare che ora, però, chi vi abita abbia acqua e luce, ma non possedendo la residenza, se le “procurano” da soli.

Girando attorno alla torre lui ci indica alcuni punti delle pareti esterne da cui sono crollate delle frazioni. “Una volta- ci racconta- è caduto un pannello di cemento, ho dovuto chiamare i vigili del fuoco”. Sotto a molte finestre, poi, vediamo cornicioni divelti e pezzi di intonaco venuti giù.

Inutile dire che molti hanno rischiato di farsi male, se non peggio.
Per la nostra guida: “Il progetto, che è di un architetto francese, è fatto male. Hanno costruito le mura storte e le strutture non sono a norma di legge”. Non ne siamo certi, ma dargli torto sembra impossibile.

Proseguendo ci inoltriamo tra le aree verdi adiacenti alle case. Ci sono delle imponenti acacie, con radici affioranti. Questi alberi andrebbero tagliati, perché rischiano di cadere proprio sulle abitazioni, ma ahimè se manca l’ordinario, figuriamoci lo straordinario.

Tra l’altro accanto alle zone verdi c’è un recinto con un pitbull: una volta ha morso Massimo. D’altronde nessun operatore ecologico viene a pulire e lui, nel fare tutto da solo, ci rimette anche.

Gli addetti alla pulizia e allo smaltimento dei rifiuti arrivano solo per svuotare i cassonetti che sono appena oltre la stradina che fiancheggia le torri. Lì il paradosso dei paradossi: i cassonetti sono in una piccola selva di alberi e rovi, piena di immondizia e tra i cespugli si intravede un divano.

Il racconto è impressionante: “Su quel divano qualche mese fa un mio amico del Comune ha trovato due ragazzi mentre consumavano un rapporto sessuale. In pieno giorno”.
In pratica gli operatori ecologici vengono lì, liberano i cassonetti e se ne vanno come nulla fosse.

Più avanti, sempre tra i cespugli, la nostra guida ci mostra diverse siringhe. Un’altra siringa si trova in un piccolo parcheggio, sotto un camioncino, da più di due anni sotto sequestro amministrativo, con tanto di targhetta esplicativa.
Quindi non si tratta solo di canne: chi viene qui a bivaccare utilizza droghe più pesanti. Chissà se sono gli stessi vandali che entrano nelle torri.

E pensare che a neanche duecento metri c’è l’asilo nido “Orazio“. Non è proprio una bella atmosfera per i bambini. Ma probabilmente i loro genitori avranno dovuto pensare ad altro: fino a poco tempo fa i tombini di fronte all’ingresso dell’asilo strabordavano, con l’acqua putrida che arrivava fin dentro la struttura. L’Acea è intervenuta su delle tubature lì accanto. Si spera abbiano risolto.

Alla fine, dopo aver assistito a tutto questo scempio, a Massimo lo chiediamo: Fucci, in questi anni, che ha fatto?
“Il Sindaco è venuto qui con me- ci risponde subito lui- e qualcosa è stato risolto. Ha fatto togliere alcuni alberi che sono caduti. Poi hanno messo quei secchioni (quelli accanto alla discarica a cielo aperto n.d.r.)”.

Ma è evidente che questi interventi non bastano.
“Non è colpa sua- lo difende Massimo- con il sindaco non me la prendo. A me dispiace, perché ha tante cose da fare. Spesso chiamo anche il vicesindaco, che mi dice chi contattare”.
“Sono le ditte che poi non fanno il loro mestiere” ci tiene a precisare. Quando è oramai un’ora che ce ne siamo andati ci ricontatta: ha pulito un altro po’ di sporcizia che ha scoperto esserci mentre era con noi.

Ci fa sorridere e riflettere: cos’altro deve succedere per far sì che qui intervengano Ater ed operatori ecologici, magari incalzati proprio dal Comune? La scusa della mancanza dei soldi non regge: questo luogo è sempre più degradato, i suoi abitanti sempre più abbandonati. Intervenire è una priorità: non si può più lasciare sola gente come Massimo.

Inchiesta di Mario Di Toro e Giacomo Andreoli

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