Adesso ha un nome ed un volto il ragazzo ritrovato impiccato a Santa Palomba due giorni fa. Si chiamava Maslax, appena 19 anni. Veniva, o meglio, scappava dalla Somalia dove aveva conosciuto ogni tipo di orrore, scappava in cerca di un po’ di serenità. A raccontare la sua storia sono i volontari di Baobab Experience che lo avevano conosciuto la scorsa estate. Per loro non ci sono dubbi: siamo tutti responsabili della sua morte.
Maslax, il ragazzo somalo ritrovato morto a Pomezia ad appena 19 anni: era nel centro da gennaio
“Passato dal Baobab l’estate scorsa – scrive l’associazione su Facebook – quando eravamo in strada a via Cupa con le tende, ha subito insieme a noi ripetuti sgomberi e identificazioni, compresa quella dell’8 Ottobre a via Tempesta, quando gli impedirono di partecipare alla Peace Run perché qualcuno, in questura, aveva sbagliato a trascrivere il suo nome. Partito e arrivato rapidamente in Belgio, altrettanto rapidamente rispedito a gennaio in Italia, a Pomezia in un centro di accoglienza. Ci ha scritto e ci ha cercati moltissimo, il tempo lì passava troppo lentamente, “slow life, sister”, diceva di volerci venire a trovare a piazzale Spadolini. Ora si cerca di ricostruire l’accaduto facendo accertamenti sulla salma al Policlinico di Tor Vergata. Di nuovo si guarda al dito e non alla luna. Cos’è accaduto lo sappiamo già perché accade ogni giorno per migliaia di migranti”.
“Scappano dal loro paese perché la situazione lì è insopportabile – scrive ancora Baobab experience – lasciando casa, affetti, radici, affrontano un viaggio terribile che li segna indelebilmente, se non li uccide, con il suo portato di violenza e disumanità. Arrivano in Europa, dove vengono identificati e chiusi in qualche centro ad aspettare, il più delle volte senza mediatori, senza assistenza legale e psicologica, mai guardati davvero. E allora scappano, raggiungono un altro paese straniero poco accogliente ma che comunque potrebbe essere la destinazione finale del loro viaggio, un nuovo posto dove piano piano ricostruirsi. Ma per gli accordi di Dublino vengono rispediti dove sono stati identificati la prima volta, in Italia, dove vengono alloggiati in un centro di accoglienza purchessia. Di nuovo mesi ad attendere, isolati e senza prospettive.”
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Una responsabilità che, secondo Baobab Experience, non può essere ignorata: “Un’altra morte di cui siamo direttamente responsabili, noi Europa: dopo millenni di migrazioni, ancora non ci è chiaro che flussi del genere non si fermano con i blocchi navali, con l’apertura di nuovi CIE, con le espulsioni, che bisognerebbe legiferare per includere i migranti che arrivano, per rendere più semplice e sicuro il loro viaggio, perché siamo sempre tutti cittadini dello stesso mondo, anche quando non ci sono interessi economici di mezzo. Siamo colpevoli di questa morte come delle morti nelle prigioni libiche, nel deserto, durante le traversate in mare o mentre si cercano di varcare i confini.
Perché l’indifferenza può essere violentissima”.