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Pomezia: Laura Rendina, Wonder Sport Woman e un sorriso da favola

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Titolo italiano assoluto indoor nel pentathlon nel 2013, decima migliore multiplista azzurra di sempre con 4121 punti nel pentathlon, ventinovesima in Italia nell’eptathlon come prestazioni assolute con 5454 punti ottenuti a Hengelo in Olanda nella First League della Coppa Europa nel 2010, la bionda e bellissima Laura Rendina è il prototipo dell’atleta ideale. Da qualche mese si cimenta con risultati già fenomenali nel tennis. Il livello di gioco raggiunto con la racchetta in mano, unito all’impegno di una donna che è anche moglie e mamma affettuosa, fanno di Laura un esempio per tutti al Roman Sport City di Pomezia, dove l’atleta è cresciuta.

La sua attitudine alla multidisciplina inizia quando Laura è piccola e prova vari sport, tutti con profitto: nuoto, ginnastica, danza, poi scoppia l’amore con l’atletica. Suo papà è un apprezzato allenatore di calcio della zona, e suo fratello Giuliano uno dei bomber più applauditi della zona pontina. Campionessa fin da Allieva e Juniores, Laura Rendina conquista ben 10 medaglie nel corso della carriera agonistica di alta performance, con 3 ori: nel 2000 vince i campionati allievi e allieve di prove multiple-esathlon con ben 4532 punti; nel 2002 è oro ai campionati italiani assoluti di prove multiple indoor a Genova tra gli Juniores (Pentathlon con 3619 punti); stesso risultato cioè ORO ai campionati italiani ASSOLUTI di prove multiple indoor ad Ancona con 4121 punti (Pentathlon). A livello internazionale sempre assai competitiva, viene convocata nel 2010 a rappresentare l’Italia in Olanda ed arriva 11esima nella First League di Coppa Europa di prove multiple; di nuovo in Europa nel 2013 a Tallin in Estonia dove, partita purtroppo già infortunata e concludendo solo 4 gare arriva comunque 30esima. Nel corso della lunga carriera ha vestito molte maglie, tra cui l’Atletica Pomezia, società in cui è cresciuta, poi la Fondiaria Sai, passando per la prestigiosa GS Valsugana Trento e infine SS Lazio Atletica Leggera.

Oggi Laura è sposata con Simone Feola, calciatore di ottimo livello, mamma di una magnifica bimba di 3 anni di nome Flavia, e mette la sua esperienza a disposizione dei più giovani, aiutandoli a crescere non solo come atleti ma anche come persone. Con Luca Zanoni, una garanzia come mentore, insegna educazione psicomotoria negli asili e sul campo di atletica. La prima volta che la vidi arrivare con la racchetta in mano mi resi conto che avevo davanti a me un fisico statuario, assolutamente performante, con i suoi quadricipiti che si gonfiavano mentre le gambe di Laura avanzavano verso di me ed un sorriso smagliante che emanava la voglia sincera di giocare. Senza secondi fini, da sportiva vera, il desiderio di competere per prima con se stessa e i propri limiti. Che principalmente erano di natura tecnico-tattica se parliamo di tennis, nonostante l’ottimo lavoro di Luca Maggi, il suo precedente Coach. Nel giro di pochi mesi ha stravinto il torneo sociale ed è pronta per spiccare il volo nelle classifiche italiane: a 35 anni si cimenta a livello agonistico per la prima volta in uno sport che per lei è completamente nuovo se non consideriamo gli allenamenti sporadici che faceva prima di ora.  L’entusiasmo che mostra è trainante per tutto il gruppo, e va a spiegare quanto sia importante che il coach stesso sia stimolato a sua volta con ragazze del genere, il che mette in moto un circuito positivo e adrenalinico in tutto il team di lavoro. I Coach Daniele Lanuti e Gianluca Minati, oltre al piccolo contributo del sottoscritto, proveranno a far brillare ancora di più questa stella anche con la racchetta in mano.

Laura, te lo ricordi il primo allenamento? E come ti sei appassionata all’atletica?

“Avevo 9 anni e facevo preagonistica di nuoto, mi piaceva abbastanza ma mia madre si era stufata di portarmi in piscina e quella fu la mia fortuna: mi invogliò a provare un altro sport portandomi al campo di allenamento di atletica e da lì non ho più cambiato.”

Chi si è reso conto per primo che potevi diventare una campionessa?

“Fin da ragazzina ero grande e forte, quindi dominavo fisicamente. Luca Zanoni, il mio allenatore di sempre mi ha guidato fin da subito verso la multidisciplinarità vedendo in me sia le caratteristiche fisiche che l’attitudine a provare cose nuove e sempre diverse. Mi piaceva molto passare dalla corsa ai salti, dai lanci agli ostacoli.”

Quanto ore ti allenavi in genere? E che differenze di training ci sono tra una multiplista e un’atleta di altre specialità?

“All’inizio un’oretta al giorno, poi un’ora e mezza fino ad arrivare a 3 ore al giorno quando sono diventata più grandicella. Ad un certo punto è diventato necessario allenarsi di più, almeno 4 ore al giorno, anche con doppio allenamento mattina e pomeriggio e questo divenne più tardi un problema perché non ho potuto dedicarmi solo all’atletica ma dovevo lavorare e studiare: ciò è andato a discapito della tecnica, perché finivo con dedicarmi ai punti forti tralasciando di curare la tecnica o le varie skills che mi mancavano. Le atlete con cui mi confrontavo sia a livello italiano che europeo facevano solo quello nella vita, si potevano dedicare anima e corpo all’atletica andando a curare tutti gli aspetti tecnici, fisici e psicologici, fin dentro ai dettagli. Io non me lo sono potuto permettere. Non facevo un vero allenamento da multiplista, piuttosto ricavavo il tempo qua e là con sacrifici enormi e cercavamo di arrangiare il tutto. La tecnica specifica la tralasciavo un pochino. Quando poi arrivava il momento del raduno mi rendevo conto della differenza di approccio con le altre competitor, eppure ho fatto una bella carriera.”

Hai qualche rimpianto per dove potevi arrivare?

“Rimpianti no in realtà, le scelte le ho fatte io, ho avuto qualche chance di entrare nei gruppi sportivi ma ho sempre preferito restare nella mia stabilità, con il mio lavoro e la mia famiglia accanto. Sia come bambina che come professionista ho trovato in Luca Zanoni una persona magnifica che mi ha cresciuta da tutti i punti di vista. Andando ai raduni vedevo questo mondo iperprofessionale e certo sarebbe stato diverso, perché non dovevi guardare l’orologio mentre ti allenavi, avevi il tempo e le energie necessarie per fare del tuo meglio, il pranzo pronto, i terapisti a disposizione, potevi fare qualche ripetuta in più curare i dettagli. E’ stato comunque gratificante affacciarmi all’alta performance, e vedere da vicino l’approccio alla gare degli atleti più forti e i loro allenamenti, oltre che spendere del tempo insieme, mi ha reso senz’altro migliore sia come atleta che oggi come allenatrice. Dove sarei potuta arrivare non si può dire, ci sono troppe variabili, senz’altro aver fatto il personale a 30 anni fa capire che senza dubbio potevo fare di più anche prima.”

Chi è stato per te Luca Zanoni?

Una specie di secondo padre, perché sono diventata ragazza, poi donna intanto che facevo l’atleta con lui. Con l’allenatore davvero dividi tanti momenti della tua vita, praticamente tutti: i tempi della scuola, l’adolescenza con le sue difficoltà, poi il turbinio di emozioni delle competizioni e tutto il resto. A 15 anni facevo da babysitter al suo primo figlio a dimostrazione della stima e della fiducia reciproca. Poi il pomeriggio mi guardava mentre correvo. Quando sei in campo entri in una bolla personale che è rotta davvero da pochissime cose: una di queste è la voce dell’allenatore, che riesci a distinguere tra mille. Con Luca Zanoni è stato così.”

La tua famiglia in che modo ti ha seguito?

“Mio padre e il mio fidanzato di allora che oggi è mio marito e papà di Flavia la mia figliola, mi seguivano nelle competizioni importanti e mi han fatto sempre sentire il loro appoggio. Mia mamma era invece dappertutto, anche negli allenamenti fuori porta era con me.”

Come era il tuo rapporto con le altre atlete?

“Alcune di loro sono oggi mie amiche, il rapporto è rimasto, a dimostrazione del legame importante che si crea tra atleti, anche se avversari. Il fatto è che condividi molte esperienze e un’altra ragazza che fa le tue stesse cose nella quotidianità, vive le stesse forti emozioni può capire meglio come ti senti e quindi ci si sente affini. Io avuto la fortuna/sfortuna di condividere esperienze in Nazionale quando c’erano le più forti olimpioniche italiane. Loro facevano anche 10 allenamenti a settimana, questo mi faceva partire in svantaggio visto che io non riuscivo ad allenarmi così tanto però mi ha regalato una conoscenza fondamentale di tutti i meandri dell’atletica oltre a rapporti speciali.”

Tipo?

“Posso dirti di aver avuto la fortuna di poter gareggiare e osservare da vicino ragazze come Gertrud Bacher,che ha il record italiano e ha vinto un’infinità di titoli nazionali, poi Karin Peringelli, Silvia Dalla Piana, tutte campionesse pazzesche. Una atleta poi che ho sempre stimato e a cui sono legata anche fuori dal campo è Elisa Trevisan,che mi è sempre stata vicina anche sul piano umano, con consigli e condivisioni. In campo internazionale poi c’era lei, l’unica e divina Carolina Kluft, di un pianeta diverso.”

Quale è lo stato dell’arte dell’atletica italiana vista dall’interno?

“L’atletica italiana paga la mancanza di cultura sportiva. I ragazzi non vengono messi nelle migliori condizioni per poter praticare sport. Solo pochi eletti possono condurre una vita professionale da atleta, e questo va a discapito dei risultati. Già nelle scuole chi pratica sport a livello agonistico è visto un po’ come uno che non ha voglia di studiare. Le assenze per gare o allenamenti vengono considerate “mancanze” e non come un valore aggiunto all’impegno del ragazzo. Quei pochi che ce la fanno poi si trovano di fronte la difficoltà economica, in un sistema che non aiuta, sebbene bisogna sempre ringraziare i Gruppi Sportivi Militari, senza di loro sarebbe finita per molti ragazzi.  Già rispetto a 10 anni fa i risultati scarseggiano perché la base non è abbastanza ampia ed è al limite più facile primeggiare in campo nazionale ma quando si varcano i confini italici diventa tutto più difficile. Se continua così perderemo anche quei pochi talenti che abbiamo o saranno inespressi.”

E’ un cane che si morde la coda, aggiungo io, poche medaglie, poco interesse, pochi sponsor, pochi soldi, e la base dei ragazzi che provano a fare agonismo si assottiglia.

Che soluzione c’è secondo te a questi problemi?

“Bisogna riportare subito l’atletica nelle scuole, non si tratta di fare 2 ore di educazione fisica alla settimana ma dare un servizio di tecnici competenti che promuova lo sport, aumentando da un lato le ore, quindi la quantità di sport, dall’altro la qualità. Servono più progetti sia federali sia locali per arricchire i vivai dei giovani atleti, e poi corsi di aggiornamento e motivazioni per i tecnici. Poi il discorso parallelo studio e sport. Perché lo sport a livello agonistico è un valore che si riporta nella società: 99 agonisti su 100 non diventeranno atleti di interesse nazionale, ma saranno avvocati migliori, medici più attenti, insegnanti con più soft-skills o semplicemente cittadini con più etica. Lo sport va visto anche in questa ottica.”

C’è una scuola, europea o mondiale che indicheresti come modello? Ad esempio nel tennis c’è una scuola ceca fenomenale, o il modello spagnolo o quello delle accademie americane.

“In realtà ci sono popoli avvantaggiati dal DNA, con caratteristiche fisiche genetiche che gli regalano sprint o potenza, come i velocisti neri per intenderci. Altri per esigenze sociali sono più portati a sacrificio e impegno, oppure alcuni popoli si avvantaggiano di un certo tipo di alimentazione, oppure hanno stili di vita più adatti allo sport e via discorrendo.  Forse la scuola americana è la migliore del mondo o una delle migliori e gli USA sfruttano la cultura del college (anche nel tennis ndr) che consente ai ragazzi di praticare sport di alta performance fin da giovanissimi e di viverlo appieno già in un percorso simultaneo con la crescita culturale e scolastica classica. Lo sport così non diventa un passatempo pomeridiano come succede qui da noi, ma abitudine alla vita da atleta e abitua i ragazzi a conciliare 2 attività insieme, cioè la pratica sportiva agonistica con lo studio, e chi non dovesse farcela a vivere di sport avrà a disposizione il piano B. In Italia non funziona così e diventa davvero difficile consiliare studio e sport come ho detto anche prima, costringere i ragazzi e le famiglie a fare delle scelte è allucinante. In Italia si è provato a muoversi in tal senso con i Licei Sportivi, ma è ancora davvero troppo poco. Io sarei per seguire il modello americano. Dai caraibi escono i più grandi velocisti del mondo per una caratteristica fisica che unisce potenza muscolare ad elasticità e ovviamente su queste loro peculiarità hanno costruito scuole ad hoc, ma si sono limitati a centri come in Giamaica specializzati in velocità o salti. La scuola russa è un’altra realtà che per anni ha dominato, poi lo scandalo doping che li ha travolti finisce per annacquare i giudizi positivi che abbiamo sempre avuto sul modo di condurre l’atletica dalle loro parti. Dall’Africa arrivano i migliori corridori delle medie e lunghe distanze e c’è sicuramente del lavoro dietro ma non parlerei di scuola. Nei lanci primeggiano finlandesi e scandinavi in genere perché per primi dagli anni ‘60 hanno sviluppato una scuola davvero all’avanguardia per la tecnica che ancora oggi resta un punto di riferimento per tutti.”

Dovendo generalizzare quanto contano le varie componenti fisiche-tattiche-atletiche-mentali nell’atletica di alto livello?

“Direi 30% tecnica, 30% abilità personali, cioè quelle caratteristiche fisiche comunque su cui si è lavorato, e poi 40% la fa la parte mentale, dentro e fuori dal campo. A volte la “testa” (dove per testa intendiamo gestire sia la zona razionale, impegno e fatica, sia quella emotiva, gioia di competere, sana tensione, paura o rabbia) finisce che essere la componente che influisce al 99%. Nell’atletica ci sono i talenti puri e i “costruiti”. A differenza del tennis o del calcio ad esempio non ci sono gare o competizioni ogni settimana per cui ti giochi tutto in un determinato giorno (o 2 se parliamo di multiple nel mio caso). Per cui arrivare al top anche mentale in quei determinati momenti è un gioco sottile che diventa fondamentale ma è anche molto difficile, perché bisogna avere la consapevolezza giusta di se stessi. In questo senso si differenziano i GRANDI campioni che uniscono talento, massimo impegno e capacità di dare tutto in quel preciso momento. Il solo talento non può bastare.”

E il tennis? Cosa sta diventando per te?

“Il tennis l’ho conosciuto da grande, non l’ho mai seguito molto, neanche in tv, tanto che non ho un campione di riferimento. Mi piace la carica che trovo negli allenamenti. Quando mi allenavo sul campo di atletica tornava a casa esausta e felice, quella stanchezza pura che solo un buon training sa darti e sto ritrovando queste sensazioni qui al Roman Sport City giocando a tennis. Per me lo sport è fatica, soddisfazione, allenamento, impegno, amicizie, e sto trovando questo. Nell’atletica forse si fa più gruppo, si creano legami più stretti, nel tennis capita più spesso di stare l’uno contro l’altro al di là della rete, c’è molta concentrazione anche tra un esercizio e l’altro, e magari capita meno di scambiare 4 chiacchiere. C’è meno cameratismo forse, per me l’atletica è stata anche questo, Un’altra componente che adoro è la competizione individuale, fortissima nel tennis. In campo sei davvero solo, e questo lo differenzia da calcio o pallavolo dove comunque mi diletto a giocare (ve l’avevo detto che Laura è un fenomeno ndr) e lo rende simile all’atletica. Dipende tutto da te stesso, non hai alibi e se ce li hai te li devi dimenticare. Il tuo allenatore può aiutarti a colpire più forte, a fare scelte giuste, a gestire la parte emotiva, ma poi scendi tu in campo e puoi appoggiarti solo a te stessa e alla tue certezze. Si mette in gioco molto di te in questo sport. L’allenatore ti dà le competenze, poi le soluzioni le devi trovare tu. Come nella vita.”

L’eptathlon in cosa può assomigliare al tennis?

“Per certi versi l’eptathlon è simile al tennis. Ci trovo dei risvolti in comune. Ad esempio richiede moltissima concentrazione per ore e per più giorni, così come accade anche nei tornei di tennis dove a volte aspetti ore prima di giocare e poi sta lì dentro all’arena tanto prima di venire a capo di una partita. Le pause numerose che ci sono tra un punto e l’altro ricordano quelle tra una specialità/disciplina e l’altra nell’eptathlon. Calcio o altri sport sono molto più frenetici e rimane poco tempo per pensare (beati loro aggiungo io ndr), tuttavia atletica e tennis sono davvero sport sani, dove capita di tifare anche per il tuo avversario. E’ un agonismo davvero puro.”

La piccola Flavietta ha 3 anni sarà una futura atleta?

“Per ora Flavia fa nuoto e viene con me sul campo di atletica. Pian piano sceglierà la sua strada. Non ti nego che mi piacerebbe seguisse le mie orme, ma se così non fosse l’importante è che faccia le sue scelte per il proprio benessere, fisico e mentale. L’atletica non si può affrontare senza forti motivazioni, è uno sport di fatica, prevede un impegno massimale, devi provare gioia mentre sudi altrimenti le prestazioni saranno scadenti. Ciò che mi auguro è che saremo capaci io e mio marito di farle provare le giuste emozioni positive nello sport e che lo pratichi quotidianamente per migliorarsi come persona prima di tutto.”

Con Laura Rendina riesci davvero anche solo parlando a ricreare una atmosfera di sport e benessere legato alla competizione che è una magia. Ora Laura gioca a tennis e si diverte, sul campo di atletica però parliamo di una giovane donna con una esperienza illimitata in tante discipline, una sportiva con la S maiuscola, una atleta che ha vinto molto ed ha anche saputo affrontare le difficoltà. L’atletica italiana deve assolutamente attingere a tecnici come Laura per ripartire. E’ notizia di questi giorni la nomina di Antonio La Torre come direttore tecnico dell’atletica azzurra, dopo gli Europei di Glasgow che sul piano dei risultati hanno segnato un passo indietro del movimento italiano. Non si vive di sole medaglie, lo sappiamo bene, ma la base dell’atletica deve essere assolutamente ampliata, si devono poi sviluppare come si deve i vivai e mettere i ragazzi con più prospettive nelle migliori condizioni possibili per migliorare come atleti e come individui,

per competere poi al massimo delle loro possibilità. Figure come Laura Rendina non possono essere lasciate sole ma vanno adeguatamente valorizzate al fine di creare non solo atleti di altissima performance ma persone migliori. GRAZIE LAURA.

Alessandro Zijno

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