Non solo importi da capogiro per l’assistenza domiciliare alle persone affette da disabilità: quello che aleggia a Pomezia adesso è qualcosa di molto più grave, visto che – se accertato dalle autorità competenti – si tratterebbe di una truffa bella e buona. A portare alla luce una vicenda a dir poco sconcertante la figlia di una donna gravemente disabile, deceduta nel febbraio 2014.
I fatti
La donna, sposata con un uomo anch’egli disabile al 100%, usufruiva sin dal 2007 insieme al marito dell’assistenza domiciliare offerta dal Comune di Pomezia in maniera gratuita, grazie all’ISEE talmente basso da sfiorare la povertà. Alla morte dell’uomo, i figli – due donne e un uomo, anche lui disabile al 100% – dimenticano di presentare la documentazione relativa all’ISEE della madre, che resta così coperta dalla dichiarazione precedente solo fino a marzo 2013. La malattia della donna, i problemi legati sia alla salute che agli aspetti economici fanno completamente sfuggire questo aspetto, anche perché l’aggravarsi delle condizioni dell’anziana spingono una delle due figlie, Antonella, a lasciare il suo lavoro – comunque precario e malpagato – per dedicarsi completamente alla madre e al figlioletto nato nel frattempo. Questa nuova condizione porta la donna già nel 2012 a chiedere all’allora Pomezia Servizi, che gestiva l’assistenza domiciliare, una riduzione delle ore di assistenza.
Da parte dell’ente nessuna comunicazione sulla mancanza di documentazione relativa all’ISEE. Facciamo adesso un salto in avanti nel tempo. Nel Marzo del 2017 i Servizi Sociali del Comune di Pomezia comunicano alla figlia della donna – che nel frattempo è deceduta il 27 febbraio 2014 – che la signora nel 2013 ha usufruito di ben 296 ore di assistenza domiciliare, per le quali andavano versati 5.402 euro, ai quali andavano sommati gli 876 euro relativi alle 48 ore di assistenza domiciliare per i mesi di gennaio e febbraio 2014.
Guardando la richiesta, Antonella viene colta da alcuni dubbi: le ore segnate dal Comune le sembrano troppe, sia perché lei stessa ha lasciato il lavoro per dedicarsi maggiormente alla madre malata sia perché negli ultimi mesi di vita l’anziana donna è stata ricoverata in ospedale molto spesso per lunghi periodi, compresi gli ultimi giorni di febbraio (dal 19 al 27), che invece risultavano come oggetto di assistenza da parte di una operatrice che diligentemente aveva segnalato le sue presenze nell’apposito foglio. La donna, d’accordo con la sorella, decide di andare a fondo alla vicenda.
“Facendo dei controlli sulle cartelle cliniche di mia madre – racconta Antonella – mi sono accorta che sia nel 2014 che nell’anno precedente i conti non tornavano: le ore che il Comune voleva farci pagare erano sicuramente maggiori rispetto a quelle effettivamente svolte, visto che molti giorni tra quelli segnati mia madre era ricoverata in ospedale e il Comune non fornisce assistenza domiciliare ospedaliera. Ho quindi voluto fare controlli ancora più accurati, richiedendo copia dei fogli firma, ovvero tutti i rapporti di servizio degli operatori dell’azienda comunale che avevano svolto assistenza domiciliare in favore di mia madre, nei quali venivano indicati i giorni e ore in cui tali assistenze venivano svolte”. La donna protocolla la richiesta, ma per oltre un anno, nonostante i ripetuti solleciti sia verbali che scritti, non riceve risposta dagli uffici competenti.
L’ingiunzione di pagamento
In compenso, il 17 luglio 2018 IL Comune pensa bene di notificare un’ingiunzione di pagamento proprio in relazione all’assistenza domiciliare del 2013. “A quel punto, arrabbiatissima, ho nuovamente sollecitato l’Amministrazione comunale alla consegna dei rapporti di servizio, che mi sono stati consegnati il 7 agosto, ma solo per il periodo da gennaio 2013 a febbraio 2014, nonostante io abbia chiesto anche quelli precedenti”.
E qui l’assurda scoperta
Nei rapporti di servizio appaiono assistenze anche nei giorni in cui l’anziana donna era in ospedale, compreso il giorno del decesso: l’assistenza, secondo quanto riportato nel documento ufficiale consegnato dall’assistente sociale al Comune, sarebbe avvenuta dalle 8:00 alle 10:00.
Peccato che a quell’ora la donna fosse attorniata dai medici che stavano facendo di tutto per evitare che la crisi respiratoria che l’aveva colpita fosse letale, come invece è stato, portandola alla morte alle ore 11:00. Tutto questo accadeva all’ospedale S. Andrea di Roma, quindi a circa 50 chilometri da Pomezia, posto in cui l’assistente domiciliare non sarebbe potuta andare neanche volendo.
Ma questo non è il solo caso strano che si nota nei rapportini: le presenze delle varie operatrici che si sono susseguite nel tempo risultano sempre quando la donna è in ospedale, fuori dal Comune di Pomezia. E le firme della paziente, che devono essere presenti nel foglio di servizio, sono di volta in volta diverse rispetto alla firma originale della signora Rosa che, seppur disabile grave, è sempre stata fino al suo ultimo respiro in grado di intendere e volere, oltre che di firmare, come spiega la figlia. “Quando ho visto i fogli di servizio non volevo credere ai miei occhi: c’erano almeno quattro tipi di versi di firma a nome di mia madre e nessuna di queste era originale. Ho fatto presente questa cosa sia ai servizi sociali che alla società che ha preso il posto della Pomezia Servizi, che allora gestiva l’assistenza domiciliare. Questa è una cosa gravissima: mi sono stati addebitate ore di servizio mai svolte, che ho contestato, e per le quali sospetto ci sia un reato penale contro me e contro la pubblica amministrazione. Quello che mi chiedo è: si tratta di un modus operandi consolidato o il mio è un caso isolato? Chi sapeva di questo, visto che per oltre un anno sono andata nei vari uffici facendo “casino” affinché venisse fatta giustizia e nessuno mi rispondeva, anzi, nessuno mi dava i documenti che richiedevo?”.
Come pensa di agire adesso?
“Mi sono rivolta a un avvocato, al quale ho esposto tutti i fatti e ho mostrato i vari documenti. Mi ha consigliato di fare un esposto, che ho già presentato alla Guardia di Finanza nei giorni scorsi. Adesso integrerò l’esposto con i documenti ricevuti – finalmente, visto che non me li volevano dare – rispetto agli anni precedenti al 2013. A quanto pare le anomalie emergono anche in questi rapportini. Voglio che si vada a fondo a questa vicenda, per capire dove e quale sia il problema: venivano registrate ore mai fatte che poi venivano fatte pagare agli ignari pazienti o allo Stato nel caso di ISEE basso? Nel mio caso sembra evidente, ma ovviamente lascio l’ultima parola ai giudici. Di certo io non mi fermerò fino a quando non verrà fatta giustizia e invito tutti i familiari dei disabili a fare i controlli per evitare che ci siano situazioni come la mia”.
La parola alla Pomezia Servizi
Sulla questione abbiamo sentito il dott. Spinelli, direttore generale della Pomezia Servizi, al quale – non presente all’epoca dei fatti – abbiamo riepilogato quanto accaduto, ovvero che l’Ente ha chiesto 5400 euro per assistenze quasi mai avvenute (firme non sottoscritte dalla donna, periodi in cui l’anziana era in ospedale…), specificando che la figlia aveva avuto serie difficoltà ad ottenere i rapportini che certificassero quelli che erano i suoi dubbi, ovvero che nell’intero 2013 nemmeno una firma corrispondeva a quella di sua madre, così come ne 2014. La figlia, con un documento presentato alla Pomezia Servizi, ha disconosciuto le firme nei rapportini, presentando invece il documento olografo materno e i documenti che testimoniano i ricoveri ospedalieri della donna. “Si tratta di una situazione di cui sono venuto a conoscenza da poco – ha dichiarato Spinelli – in quanto non ero in questa azienda all’epoca dei fatti. I soggetti che hanno effettuato attività per questa signora, qualora emergesse qualcosa di illecito, sarebbero da noi immediatamente perseguiti anche per danneggiamento di immagine”. “Se qualcuno avesse – come sembrerebbe da una ricostruzione da verificare – dichiarato di aver lavorato e di non averlo fatto e qualora emergessero il danno materiale e il danno d’immagine, verso queste persone verrebbero immediatamente presi i dovuti provvedimenti per la tutela della nostra azienda. Da quando sono arrivato io non è la prima volta che agiamo a difesa dell’azienda, fornendo alle autorità competenti tutti i documenti necessari per le indagini necessarie per capire se qualcuno abbia lavorato male. Se bisogna avere un’eticità nel lavoro “normale”, ancora di più occorre averlo nel sociale, pertanto sono per il pugno duro su questo, pertanto voglio che ci venga scrollato di dosso ogni marchio infamante proveniente dal passato”.