Sul servizio di raccolta rifiuti ad Ardea gli Amici di Grillo Ardea hanno appena pubblicato sul loro blog un interessante articolo, che riportiamo interamente e che può essere visionato in originale sul sito https://amicidigrilloardea.wordpress.com/2015/03/16/il-grande-imbroglio/:
Ora vi racconteremo una storia vera e documentata ed in parte raccontata per deduzione dai fatti certi. Per aiutare il lettore a distinguere ciò che è certo e documentato da ciò che è interpretato, queste differenti parti del testo saranno trascritte in carattere diverso tra loro. Buona lettura.
Era la fine del 2009; il comune di Ardea si accingeva a rinnovare il contratto per la raccolta dei rifiuti. Come per la stragrande maggioranza dei comuni italiani, anche nella nostra cittadina la raccolta era effettuata tramite cassonetti stradali. La Regione emanava in quel periodo direttive assai stringenti che imponevano ai comuni di aumentare considerevolmente la percentuale di raccolta di rifiuti selezionandoli tra loro per poterne destinare una gran parte al recupero ed al riciclaggio.
Quegli obbiettivi, assai ambiziosi in verità, ci imposero delle scelte tecniche innovative ed importanti che sicuramente avrebbero comportato delle innovazioni rilevanti e impegnative per i cittadini. L’ambizione prevedeva di arrivare al 65% di raccolta differenziata entro il 2012. La storia ci racconterà una realtà assai diversa e ci dimostrerà che il metodo inizialmente scelto era assolutamente inadeguato per garantire il perseguimento degli obbiettivi.
I nostri amministratori, nel redigere un nuovo capitolato tecnico per l’appalto che si accingevano ad assegnare, scelsero la strada della raccolta differenziata a cassonetto stradale, ovvero nei punti di raccolta in strada si prevedeva di installare cassonetti differenti in forma ed in colore specializzati per la raccolta di materiali diversi. Si arrivò alla fine del 2009 a redigere un capitolato che tuttavia poneva attenzione anche al futuro; già allora esperienze di altri comuni avevano evidenziato che la maggiore percentuale di differenziata era ottenibile solo attraverso il metodo di raccolta detto porta a porta (PaP). I tecnici inserirono quindi nel capitolato una richiesta specifica volta alla sperimentazione di questo metodo inserendo una clausola dove esplicitamente si richiedeva all’appaltatore di effettuare per una zona specifica del territorio il metodo sperimentale del PaP coinvolgendo un numero limitato di cittadini – circa 2000. Nel capitolato si accennava, senza tuttavia indicarne i tempi, alla possibilità che tale metodo di raccolta potesse essere in futuro esteso ad altre zone del territorio, in quel caso appaltante ed appaltatore avrebbero concordato le nuove modalità e rivisto i relativi costi necessari a coprire le maggiori spese a carico dell’azienda appaltante.
La legge che regola gli appalti pubblici – la 163/2006 – prevede che durante il periodo di esecuzione dell’appalto possano verificarsi necessità di variazione nelle prestazioni/forniture ma impone che queste siano contenute in una spesa massima non superiore al 20% dell’importo di base annuo inizialmente imposto. Ovviamente una clausola di questo genere era ben nota sia all’appaltatore che all’appaltante e quindi non era stata riportata nel capitolato.
Ben chiara era invece la clausola che impediva offerte che non prevedessero un ribasso d’asta nei costi.
L’Igiene Urbana, una delle aziende ad aver partecipato alla gara, rispose con una dettagliata offerta tecnica evidentemente assai apprezzata dalla commissione aggiudicataria ed offrendo un ribasso al prezzo di base d’asta dell’1%. L’azienda non si limitò ad offrire quanto richiesto ma di propria iniziativa volle offrire un’offerta aggiuntiva proponendo di estendere il servizio PaP all’intero territorio comunale con l’esclusione delle sole zone del lungomare e delle case sparse. A compensare il maggior costo a proprio carico l’azienda richiese per il servizio aggiunto un compenso pari a 93 € per ogni tonnellata di rifiuto differenziato raccolto nell’anno. L’intento dell’azienda era forse quello di anticipare i costi dell’estensione del PaP a tutto il territorio in modo da dare alla commissione una base di giudizio più completa. Con la sua offerta la Igiene Urbana si aggiudicò la gara.
Il contratto fu redatto a gennaio del 2010 e la scadenza prevista a gennaio del 2017.
C’è da fare una considerazione non provata ma deducibile dai successivi avvenimenti. L’Ente valutò l’offerta aggiuntiva dell’azienda attribuendole valore e peso nel giudizio giudicandola erroneamente particolarmente conveniente per il Comune. L’azienda aveva lasciato intendere nella sua offerta migliorativa che il maggior costo della prestazione sarebbe stato assorbito dal risparmio dei costi di conferimento realizzati per effetto della raccolta differenziata. Ovviamente tutto ciò non era possibile perché i costi di conferimento della frazione differenziata erano già stati stabiliti dall’Ente stesso a valori più alti di quelli pagati in discarica per la frazione indifferenziata.
Il contratto fu redatto nello stesso mese di gennaio del 2010. L’articolo 2 del contratto prevede la possibilità da parte dell’Ente appaltante di richiedere modifiche e/o integrazioni del servizio specificando che questo avrebbe comportato tra le parti un accordo compensativo aggiuntivo. Il contratto non riporta alcun riferimento al costo massimo per eventuali integrazioni facendo evidentemente esplicito riferimento alla 163/2006 che pone tale limite al valore pari al 20% dell’importo annuo previsto dall’appalto.
Su questa base di accordo l’azienda inizia il proprio lavoro il 4/1/2010 ma non da seguito a quanto previsto dal capitolato nella sua interezza. L’appalto prevedeva la sostituzione dei cassonetti esistenti e l’integrazione con cassonetti speciali per la raccolta differenziata nonché la costruzione di specifiche piazzole su cui questi dovevano essere posizionati. La ditta appaltatrice, confidando forse sul fatto che molto presto l’ente avrebbe richiesto di estendere il PaP come da lei stessa offerto a tutto il territorio, e ritenendo pertanto inutile ogni spesa necessaria ad espletare la raccolta con il metodo stradale, non fornisce le nuove attrezzature e di sua iniziativa inizia ad effettuare il servizio di raccolta PaP anche in zone in cui non era richiesto dal contratto come ad esempio nel quartiere della Nuova Florida e di Tor San Lorenzo, ma non applica un PaP spinto in quanto permangono sul territorio alcuni cassonetti per la raccolta di carta e cartone e le campane per la raccolta di plastica e metalli nonché quelle per la raccolta del vetro.
Questo PaP realizzato a metà sia in termini di servizio che di territorio non si dimostra particolarmente efficiente; i dati della raccolta differenziata rimangono assolutamente insufficienti rispetto alle aspettative, il territorio è sporco, l’utenza si lamenta per il disordine e il mancato servizio, ogni cassonetto sul territorio diventa ricettacolo per ogni genere di rifiuto.
Anche l’azienda inizia a manifestare difficoltà nella gestione tanto da mancare nel regolare pagamento degli stipendi ai dipendenti e procurando in questo modo scioperi ed ulteriori disservizi. In particolare l’azienda lamenta il fatto che l’Ente non paga per il servizio comunque offerto e da inizio ad una lite di fatto reclamando il saldo di numerose fatture emesse dalla stessa extra contratto base. Per oltre tre anni il servizio si trascina tra disservizi ma anche l’Ente trascura di realizzare le due isole ecologiche previste costringendo l’azienda ad una raccolta di rifiuti speciali – gli ingombranti in particolar modo, difformemente a quanto previsto dal capitolato.
Le proteste inducono il Consiglio comunale ad incaricare l’assessore all’ambiente di allora e il dirigente tecnico a risolvere il problema verificando, perfino, se sussistano le condizioni per rescindere il contratto. I due giudicano impercorribile l’azione e propongono una mediazione. Il Consiglio comunale a questo punto da incarico al dirigente e all’assessore di verificare se sussista la possibilità di effettuare un servizio PaP uniformemente per tutto il territorio.
Questa indicazione del Consiglio basta al dirigente per addivenire ad una soluzione che prevede, tramite un atto aggiuntivo di estendere il servizio PaP a tutto il territorio comprendendo anche le parti escluse a mare nella ipotesi suggerita in sede di offerta dalla Igiene Urbana ed aggiungere il servizio di raccolta anche nelle domeniche dei mesi estivi limitatamente alle zone a mare.
Curioso è che in quella occasione il dirigente non abbia chiarito che l’intera operazione portava ad uno sconsiderato aumento dei costi di gestione perché, altre all’aumento del canone concesso calcolato in una cifra praticamente coincidente al 20% del canone annuo – ossia 630.000 € circa, riconosceva all’azienda un ulteriore compenso pari a 93 € per ogni tonnellata di frazione differenziata di rifiuti raccolta che in termini pratici si traduce in quasi 1.200.000 €. La somma di tale costi fa lievitare il costo iniziale del contratto di oltre il 60%. Lo strano accordo giungeva dopo tre anni e mezzo e forse doveva essere sancito fin dall’inizio, cosa che invece non avvenne: perché?
Altre considerazioni sono invece oggettive e comprovate e si possono riassumere in semplici domande che tuttavia non hanno risposta.
• Perché l’Ente per ben tre anni e mezzo ha passivamente accettato che l’azienda effettuasse un servizio in modo assolutamente difforme a quanto previsto dal capitolato ?
• Perché l’Ente ha ritenuto di poter sconsideratamente aumentare il costo del contratto contravvenendo a quanto imposto dalla legge 163/2006 che regola gli appalti pubblici ?
• Perché l’Ente ha scelto di pagare lo smaltimento della frazione differenziata direttamente alla ditta appaltatrice e secondo una precisa tabella i cui costi sono stati fissati dall’Ente stesso senza considerare che questi potevano diventare come è poi accaduto molto più bassi nel tempo ?
• Perché l’Ente ha accettato di calcolare nel bonus aggiuntivo riconosciuto all’azienda anche quella parte di rifiuti che comunque, a prescindere dal PaP sarebbe stata differenziata ?
• Perché l’Ente ha accettato una riduzione del personale impiegato senza per questo pretendere una riduzione nel costo del servizio ?
• Perché l’ente ha accettato di valutare anche il costo aggiunto del servizio nelle zone a mare e non ha considerato questi costi riassorbibili come per il resto del territorio dal bonus extra riconosciuto per 93 € a tonnellata ?
• Perché l’ente non ha mai sanzionato l’azienda per le continue e numerose infrazioni commesse tra cui, la più grave, il mancato servizio di pulizia delle strade che da solo ha un valore stimato di 650.000 € anno e per il quale le sanzioni prevedono un’ammenda di 25.000 € per ogni giorno di mancato o parziale servizio?
Insomma un grande “imbroglio” che reclama giustizia e che nel 2014 è costato ben 2.500.000 € in più del previsto agli ignari cittadini di Ardea. Se non si interviene per tempo questo balzello sarà dovuto ancora per l’anno in corso e per il 2016 al termine del quale, finalmente questo sconsiderato contratto arriverà a conclusione.
Nel recente Consiglio comunale (Puoi vederne qui il video) una interpellanza dei consiglieri di opposizione poneva esattamente questi interrogativi. L’assessore all’ambiente Romolo De Paolis non ha fornito alcuna risposta. Leggendo una breve nota del dirigente responsabile del settore ha praticamente risposto dicendo che, data la particolare complessità del tema proposto, era necessario richiedere la consulenza di un avvocato esperto in diritto amministrativo. Sorge spontanea la domanda: ma se l’argomento era così complesso perché a trattarlo in sede di contratto e modifiche sono stati dirigenti e assessori alcuni dei quali ancora in carica nell’amministrazione? Nessun esperto fu interpellato allora? Perché?