Una tematica che verrà affrontata dal Governo presieduto da Giorgia Meloni, così come anche annunciato in campagna elettorale, è quella legata al nuovo disegno del Reddito di Cittadinanza. Questa, un’iniziativa da sempre criticata dal mondo politico legato al Centrodestra, anche forte di numerose truffe ai danni dello Stato messe in piedi da furbetti, che preferiscono l’assistenzialismo statale piuttosto che cercarsi un lavoro e guadagnarsi il pane da soli.
La soluzione, attorno alla formula creata dal Movimento 5 Stelle, potrebbe essere: Reddito di Cittadinanza solo per coloro che non sono in grado di lavorare. Il governo Meloni intende rivedere la misura di contrasto alla povertà in vigore da aprile 2019 limitando la platea dei beneficiari. Durante il suo discorso in Parlamento per la fiducia Meloni ha ribadito quanto sostenuto in campagna elettorale, dicendo che questa misura per come è stata pensata “ha rappresentato una sconfitta per chi era in grado di fare la sua parte per l’Italia”.
Il futuro del Reddito di Cittadinanza
Il premier Giorgia Meloni ha precisato di voler “mantenere e, laddove possibile, aumentare il doveroso sostegno economico per i soggetti effettivamente fragili non in condizioni di lavorare. Ma per gli altri, la soluzione non può essere il Reddito di Cittadinanza, ma il lavoro”. Il vice premier Matteo Salvini, propone di sospendere per sei mesi la misura “a quei 900mila percettori del reddito che sono in condizioni di lavorare e che già lo percepiscono da diciotto mesi” e utilizzare le risorse risparmiare, circa un miliardo per prorogare Quota 102 nel 2023.
Sempre Salvini dice nel nuovo libro di Bruno Vespa, “La grande tempesta”: “Per realizzare il progetto nel 2023 secondo i calcoli dell’Inps serve poco più di un miliardo. Lo recupereremo sospendendo per sei mesi il reddito di cittadinanza a quei 900mila percettori del reddito che sono in condizioni di lavorare e che già lo percepiscono da diciotto mesi“. Secondo i dati dell’Agenzia nazionale politiche attive del lavoro i beneficiari del reddito di cittadinanza indirizzati ai servizi per il lavoro sono 919.916. Da questa cifra, che è quella citata dal Salvini, però vanno tolti i 173mila (18,8%) che risultano già occupati e gli 86mila (9,4%) esonerati, esclusi o rinviati ai servizi sociali.
Rimangono quindi i 660mila (il 71,8%) tenuti alla sottoscrizione del patto per il lavoro, che molto probabilmente sono quelli su cui ricadrà la stretta voluta dal nuovo esecutivo. “Dei 660mila beneficiari soggetti al patto per il lavoro (dunque non occupati, non esonerati e non rinviati ai servizi sociali), quasi i tre quarti – il 72,8%, corrispondente a 480mila persone – non ha avuto un contratto di lavoro subordinato o para-subordinato negli ultimi 3 anni”, sottolinea l’Anpal. “Si tratta di individui che complessivamente esprimono alcune fragilità rispetto al bagaglio con cui si affacciano ai percorsi di accompagnamento al lavoro e che nel 70,8% dei casi hanno conseguito al massimo il titolo della scuola secondaria inferiore – prosegue la nota – . Solo il 2,8% presenta titoli di livello terziario, mentre un quarto ha un diploma di scuola secondaria superiore”.