‘Faccio il parrucchiere, ho iniziato a lavorare esattamente 40 anni fa: era il 24 settembre del 1980. Io amo questo lavoro e amo le mie clienti. Vogliamo lavorare (perché penso di parlare anche a nome dei miei colleghi), non chiediamo altro. Non capisco per quale motivo noi ci ritroviamo in questa condizione. Sono esattamente 60 giorni che sono fermo. Dateci la possibilità di lavorare. Non vogliamo morire” – questo è lo sfogo di Erno Rossi, parrucchiere responsabile di un negozio in cui lavorano anche altre tre persone: Mirta che si occupa della parte amministrativa, una donna con tre figli e i due dipendenti che sono in cassa integrazione, di cui non si vede ancora l’ombra. Ma le bollette ci sono, non aspettano, quelle si devono pagare.
‘E poi? Su Instagram e sui social: Valeria Marini, Barbara D’Urso, i vip con i capelli ben fatti, lo stesso Presidente del Consiglio. Se lavorano i loro parrucchieri e le loro estetiste, possiamo lavorare anche noi’ – continua Erno.
Quello che fa indignare è che, a quanto pare, molti personaggi dello spettacolo non hanno saputo rinunciare ad una piega ben fatta e ad un trucco impeccabile. C’è chi come la conduttrice Barbara D’Urso ha anche pubblicato un video sul proprio profilo Instagram, a dimostrazione del fatto che c’è chi sta ancora lavorando per lei. Per il suo ‘look’. Certo, muniti di mascherine e di guanti. Ma le distanze?
‘Carissimo Presidente del Consiglio io capisco tutte le difficoltà che ci sono, ma queste decisioni sono state prese da circa 20 persone che non fanno il nostro lavoro. Per riaprire ci vogliono i soldi, non li abbiamo. Come paghiamo il personale? Come paghiamo le bollette? Carissimo Presidente del Consiglio, qual è il criterio che lei ha adottato?‘ – si domanda Erno.
Tra rabbia e disperazione c’è anche consapevolezza perché ‘La salute è importante: siamo noi i primi a dover difendere la nostra salute e quella dei nostri clienti. Sono i clienti che ci fanno vivere, ci permettono di mangiare. Dobbiamo fare attenzione: vogliamo sterilizzare, usare monouso, fare di tutto. Ma fateci lavorare. Non possiamo arrivare al 1 giugno. Voglio riaprire il mio negozio, con tutte le restrizioni e le misure di sicurezza per la salute di tutti. Ma così moriamo di fame‘ – un grido di dolore quello del parrucchiere che ha deciso di raccontare la sua situazione e di farsi portavoce di tanti altri colleghi.
Ha fatto scaldare gli animi la decisione del Governo di riaprire i parrucchieri, i centri estetici, i bar, i ristoranti il 1 giugno (un lunedì, giorno in cui storicamente questa categoria è chiusa; il 2 è festa, quindi la riapertura slitta al 3 giugno). Un Dpcm che agli occhi di tanti sembra essere contraddittorio: ‘Allenamenti consentiti, riaprono i musei. E noi? Miliardi, miliardi, ma dove stanno? Vogliamo lavorare ad ogni costo. Sono stanco – conclude Erno – Andrà tutto bene. Per chi? Ma noi che fine facciamo?’.
Erno non è il solo: basti pensare che a Padova due titolari di un negozio di parrucchiere si sono incatenati. Hanno protestato e hanno fatto sentire la propria voce. Perché c’è chi non ce la più a sostenere questo peso: ‘Se non si muore di virus, moriremo di fame‘. Nella speranza che questa resti una frase e che non diventi realtà.
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