È panico tra i cannabis shop romani all’indomani della sentenza della Corte Suprema di Cassazione che ha stabilito, con un dispositivo poco chiaro e che ha lasciato margine di interpretazione alle procure, lo stop alla vendita della cannabis light e di tutti i prodotti basati sulle infiorescenze.
Le reazioni dettate dal panico e le prime chiusure volontarie
Le reazioni dei piccoli imprenditori in questione non si sono fatte attendere e così abbiamo cercato di misurarle su un campione di 50 rivendite romane. Ebbene, circa il 65% dei cannabis shop della Capitale è in preda al panico e ha ritirato dalla vendita tutti i prodotti derivati da: “foglie, infiorescenze, olio, resina ottenuti dalla coltivazione” e attendono gli sviluppi dell’intera vicenda con ansia subendo nel contempo un ingente danno economico. Sì perché questo tipo di articoli costituisce più del 70% del fatturato di ogni singolo store.
Chiusi per precauzione anche i distributori automatici, e il malumore generalizzato caratterizza anche chi, con coraggio, continua la propria attività quasi come se niente fosse: “Dovremmo chiudere immediatamente se ritirassimo i prodotti derivati dalle infiorescenze dal commercio“, ci dice la maggior parte dei ‘resistenti’: “noi non vendiamo droga, pensiamo di essere dalla parte del giusto, quindi procediamo con la nostra attività“.
Una buona fetta di negozi, addirittura, ha chiuso di propria volontà in attesa di capire meglio gli sviluppi dell’intera vicenda, magari con la pubblicazione delle motivazioni della sentenza della Suprema Corte del 30 maggio scorso: “Noi abbiamo addirittura abbassato le saracinesche, ci prendiamo una vacanza forzata per qualche giorno, non vogliamo problemi” ci dicono i titolari dello Shock House. E ancora: “L’avvocato ci ha consigliato di chiudere precauzionalmente” raccontano dal Druido Hemp Shop che non è l’unica attività ad aver consultato i propri legali.
Oltre a questi ha abbassato le saracinesche il Greenova Shop e a Colli Aniene anche Smell Italia sta meditando di sospendere l’attività.
Le storie di chi si sente sulla via del fallimento
Non mancano già alcuni casi che hanno del drammatico: “Io curo tutto il processo di produzione di cannabis light, dalla coltivazione alla vendita“, racconta il responsabile di R-evolution plant nel quartiere Alessandrino: “Tre anni fa ho investito in questo settore più di 50mila euro, ho moglie e figli e adesso sono rovinato“.
Il 16 maggio scorso, invece, prima ancora della sentenza della Cassazione ma pochi giorni dopo la ‘direttiva Salvini‘, il cannabis shop ‘Mezz’etto’ ha subito un maxi sequestro di cannabis light del valore di circa 1500 euro, di uno stock di birre aromatizzate e addirittura di una partita di cartine. Dice il titolare Claudio Capitani: “Io grazie al cielo ho anche una oreficeria, ma se avessi avuto soltanto il cannabis shop sarei fallito. Il contenuto di thc delle infiorescenze sequestrate è stato appurato essere poco sopra lo 0,2 percento ma nonostante ciò mi hanno inflitto una sanzione di più di duemila euro e la stessa sorte stava per capitare a mia nuora che ha un’altra rivendita nel quartiere Talenti“. Il danno economico per la Capitale e in tutta Italia non è ancora stato stimato ma ci si aspettano numeri preoccupanti e il Coordinamento Nazionale Canapa Sativa Italia sta lavorando ai primi dati.
L’appello degli imprenditori e delle imprenditrici del settore
Intanto gli imprenditori e le imprenditrici del settore hanno lanciato un appello e si sono dati appuntamento il prossimo 11 giugno a Roma in via Molise presso il Mise: “Chiediamo la partecipazione di tutti, produttori, rivenditori e consumatori, mercoledì 11 maggio a Roma alle ore 11.00. Un presidio pacifico ma rumoroso che vuole richiamare l’attenzione sull’ingiustizia che si sta consumando nei confronti di centinaia di operatori che vedono polverizzarsi risparmi e investimenti fatti negli ultimi due anni” scrivono nel loro comunicato.