Con l’uscita nelle sale italiane del film su Tommaso Buscetta “Il Traditore”, è tornata al centro delle cronache la questione “pentiti di mafia”. Se ne è parlato a “La Storia Oscura” su Radio Cusano Campus dove dal suo rifugio segreto è intervenuto l’ex boss della ‘ndrangheta Luigi Bonaventura, collaboratore di giustizia dal 2006 e noto in passato per essere stato reggente della cosca ‘ndranghetista dei Ciampà-Vrenna-Corigliano-Bonaventura, operante nel territorio di Crotone.
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Da pentito fino a oggi Bonaventura ha fornito il suo contributo determinante a 14 procure antimafia. Intervistato da Fabio Camillacci, l’ex boss ha detto: «Se ho paura? Io sono nato sul campo di battaglia, dove acquisisci un istinto, un qualcosa di particolare dentro di te che ti insegna a convivere con la paura e quindi non fai nemmeno in tempo a sentirla che riesci a dominarla con delle soluzioni che tu pensi siano utili per metterti al sicuro. Non potrei fare altrimenti visto che quattro anni fa mi è stato revocato il programma di protezione da parte dello Stato».
«Tutto questo perché ho denunciato mediaticamente ma anche a livello giuridico delle problematiche serie nel programma di protezione e per questo mi hanno contestato delle violazioni comportamentali tipo interviste non autorizzate in cui denunciavo delle verità e dei rifiuti di trasferimento. In pratica con me lo Stato italiano si è comportato come una donna gelosa e possessiva che non accettava di essere rifiutata e quindi ha preferito cacciarmi e mettermi in mezzo alla strada per punizione insieme a due miei nuclei familiari».
«Lo Stato in tal modo ha messo a rischio la mia vita e le vite dei miei cari. Fortunatamente -ha precisato Luigi Bonaventura- in seguito all’intervento del Consiglio di Stato, della magistratura e della DDA di Catanzaro, almeno i miei familiari, sono stati messi sotto programma di protezione ma la protezione è scarsissima come l’assistenza e l’aiuto logistico per cercare d’inserirsi. Un fatto che trasforma la nostra vita in un inferno. Faccio presente che il programma di protezione per la mia famiglia prevede uno stipendio di 1.300 euro, un alloggio, ma la protezione vera e propria dalla malavita che mi ha messo nel mirino non esiste, inutile prenderci in giro. Per questo sono molto deluso dallo Stato italiano».
«Tanto è vero che nella località in cui viviamo, i miei figli vanno a scuola con il cognome originale. Quindi, in questa sede vorrei anche smentire quanto è stato detto da Buscetta in poi a proposito dei soldi che lo Stato avrebbe versato ai pentiti di mafia: per un nucleo di 4 persone al massimo si può arrivare a 1500 euro al mese più quelli per l’affitto della casa».
Poi sollecitato dalla criminologa e psicologa dell’Università Niccolò Cusano Mary Petrillo, secondo cui il pentito diventa un effettivo collaboratore di giustizia quando avviene in lui un vero e proprio cambiamento di pensiero e culturale, l’ex boss Bonaventura ha risposto: «Anche se io e i miei familiari rischiamo la vita ogni giorno, non mi pento della scelta che ho fatto: non ho deciso di lasciare la criminalità organizzata per orgoglio o per altro. La mia è stata una reale conversione interiore e oggi mi sento un uomo spiritualmente molto più ricco di prima. Insomma, per fare un gioco di parole, non mi pento di essermi pentito. Però lo Stato italiano deve fare molto di più per i collaboratori di giustizia e i loro familiari. Deve tutelarli di più».