E’ di due giorni fa la notizia di Sergio Marchionne ricoverato in condizioni gravi irreversibili presso una clinica di Zurigo, seppur l’ufficio stampa avesse diramato la notizia di un intervento alla spalla risalente a tre settimane fa.
Tanto mistero anche sul male che ha messo KO uno dei più grandi manager del mondo e il riserbo collettivo è strettissimo, come del resto è nello stile dello stesso Marchionne in fatto di vita privata.
Ma nonostante le condizioni, nonostante le illazioni circa la natura del male causa, sembrerebbe di dolori atroci, la mannaia dei più non si ferma, nemmeno di fronte ad un momento così delicato, sferrando colpi che hanno tutto il gusto dell’invidia sociale.
Come è possibile che si manchi di tatto, in simili frangenti? Come è possibile essere impietosi sui social e testate giornalistiche, verso coloro che sono meri avversari politici? O forse no, forse sono altro e il loro successo suscita disturbo e la loro “morte” conforto.
Le menti mediocri, diceva Albert Einstein, sono violente, incapaci di comprendere il genio degli innovatori e di ammettere i loro meriti. È quello che succede oggi nei confronti di Sergio Marchionne da parte di una classe dirigente sindacale fallita e di alcune frange politiche rancorose che rinfacciano all’imprenditore di aver preso le distanze dall’Italia per fare uscire FIAT dallo stallo economico e rilanciarla a portata mondiale.
Abbiamo chiesto lumi alla nostra consulente Maria Tinto, già psicoterapeuta e comportamentalista quali meccanismi scattino nella mente di una persona, anche in posizione di fragilità e incapacità di reagire.
“Abbiamo tutti come tre corde d’orologio in testa. La seria, la civile, la pazza…dovendo vivere in società, ci serve la civile…altrimenti ci mangeremmo tutti l’un l’altro, come tanti cani arrabbiati”.
Pirandello, sapiente conoscitore dell’animo umano, assegna ad ognuno di noi una maschera da “pupo”, con le tre corde sul capo. Saremmo tutti dunque “pupi” della vita, che sul palcoscenico del giorno interpretano le varie “parti”, a seconda della “giratina” che ciascuno riesce a dare alla propria corda.
Ma quando la corda “seria” e quella “civile” vengono messe da parte, è la “corda pazza” che la fa da padrona, dando sfogo alle peggiori frustrazioni e miserie umane. Quella corda pazza che, per arricchire la ciotola delle libagioni, invoca l’ invidia e l’ odio, entrambe caratteristiche nefaste che originano dall’uomo.
Per fare un esempio mi riporto anche al caso di esecrabile violenza, che si è consumato qualche settimana fa ai danni di un ragazzo poco più che adolescente, “colpevole” di essere figlio di personaggi in vista (Bettarini e Ventura), personalità dello spettacolo e dell’ambiente sportivo, che hanno abdicato il loro “privato” al dominio incontrastato della notorietà e si trovano esposti alla mercé di chiunque, mi ha riportato alla mente le tre “corde” di pirandelliana memoria, ma anche a quell’alone di darwinismo, che ancora oggi nutre e rinvigorisce le mie concezioni sull’uomo, nel tentativo di trovare un punto di incontro tra la legge della natura e quella del più forte.
La lotta per la sopravvivenza è appannaggio delle specie viventi, con la differenza che le bestie si comportano come tali per una precisa e vitale ragione, l’uomo si comporta da “bestia” per futili motivi.
I “futili motivi” della lotta sono oggi ridotti alla pura voglia di esercitare la prepotenza, come la pretesa di avere al ristorante un tavolo non prenotato o un caffè servito senza rispettare l’ordine di arrivo e così di seguito, in un crescendo di tracotante boria.
Siamo ben lontani dalla lotta per la sopravvivenza, piuttosto si potrebbe trattare di lotta per la sopraffazione , poiché l’unico imperativo categorico che mi viene in mente è quello di “vincere”.
Vincere sull’altro, superarlo, distanziarlo, annientarne le energie, distruggerlo, in una competizione sbilanciata, traendo forza dal gruppo di appartenenza in una lotta che mette in risalto le proprie malvagie debolezze. Un modo squalificante e incivile di attribuirsi una “considerazione” ed essere così socialmente riconosciuti, incuranti di aggiudicarsi le peggiori connotazioni sociali.
Una delle modalità di pensiero più frequente in questi soggetti, è quella di ritenersi in credito dalla vita.
I motivi sono più o meno soliti, uno tra i tanti è quello di considerare la vita una nemica, vuoi perché non ha riconosciuto le presunte qualità che questi soggetti ritengono di avere, vuoi perché essi stessi non riescono ad assumersi la responsabilità del proprio agire e dei propri limiti, dando la “colpa” delle proprie sfortune agli altri. Devastati come sono da deliranti visioni sociali di tipo maniacale, manifestano pensieri ed affermazioni del tipo : “sono tutti contro di me” “ se nessuno mi capisce, vi faccio vedere chi sono e cosa sono capace di fare” “ quel posto spettava a me e basta”, considerazioni del tutto irragionevoli, che portano inevitabilmente all’odio verso tutti ed in modo particolare, verso coloro che posseggono ciò che a loro manca o che credono sia stato portato via ingiustamente.
Gli oggetti dell’invidia non sono solo di natura materiale, bensì modi di essere, qualità sociali come la notorietà, l’appartenenza familiare o le opportunità riservate a color che sono considerati “più fortunati”.
Considerato poi che il sentimento dell’invidia alberga nell’animo umano, definirlo un morbo endemico è il modo migliore per accettarne le sfaccettature e riconoscerlo a prima vista, perché si mostra in maniera sempre più spasmodica e amorale.
Ne siamo quotidianamente invasi e pervasi, in maniera più o meno manifesta. Bisogna riconoscere che ad espandere questa malattia contribuisce il contagio mediatico, attraverso le esternazioni deliranti di coloro che vivono i social media in maniera totalizzante, mostrando tutta la loro pochezza umana.
In fatti, è da pusillanime nascondersi dietro uno schermo e lanciare invettive contro tutti, sentendosi in diritto di giudicare la vita degli altri, a discapito delle emozioni, dei sentimenti, degli affetti di coloro che subiscono passivamente le critiche ingiuriose.
La capacità virtuale di sentirsi vivi, l’idiozia mediatica delle parole che non hanno senso, la leggerezza di considerazioni prive di valore umano, fanno da sfondo alla quotidianità di questi soggetti.
Sentimenti come l’amore e l’amicizia, valori come la solidarietà e la lealtà, vengono sempre più spesso confusi con il numero di like, diteggiati distrattamente su un cursore.
C’è anche da dire che il clima di intolleranza, di violenza, di volgarità anche verbale che respiriamo, i toni duri e prevaricatori che aleggiano nel nostro quotidiano, in qualche modo “autorizzano” impropriamente tali comportamenti.
Senza gli argini il fiume straripa, questo è quello che dovremmo pensare tutte le volte che assumiamo comportamenti che non rispettano l’altro o quando siamo indifferenti alla sofferenza altrui.
Nessuno può sentirsi “esonerato” da colpe, se assumiamo atteggiamenti e comportamenti che esprimono aggressività, allora ognuno di noi è responsabile, non solo per la propria parte, ma anche delle condotte altrui, sebbene in maniera ridotta.
E’ il nostro comportamento ciò che presentiamo come biglietto da visita ed è di fondamentale importanza “misurare” la propria capacità di tolleranza, accettazione e soprattutto criticità, rispetto a quello che ci arriva dall’esterno, se vogliamo dotare noi stessi ed i nostri figli di una capacità di sopravvivenza legittimamente riconosciuta dalla legge della vita, nel rispetto assoluto degli altri e degna di essere definita “civile”.
Marina Cozzo